Un giorno non è bastato. L’audizione della presidente Rai Maggioni e del dg Campo Dall’Orto riprenderà oggi con le risposte dei due dirigenti alle domande poste ieri dai commissari. Domande per modo di dire: in realtà di critiche corali e acuminate, che non bersagliano il tandem di viale Mazzini solo dall’opposizione ma anche dall’interno della maggioranza. Dal Pd che con il vicepresidente della commissione Verducci chiede che in Rai «si smetta di essere forti con i deboli e deboli con i forti», col capogruppo Peluffo che insiste perché «sugli stipendi il cda agisca in fretta» e con Margiotta che protesta perché «in troppi casi le retribuzioni non corrispondono a curricula adeguati». Dall’Ncd, dai cui spalti il capogruppo Lupi bolla come «deludenti» i risultati della nuova gestione, non solo e non tanto per gli stipendi ma perché «non si vede la novità».

Se questa è la maggioranza, ci si può figurare l’opposizione. Martella sulle spese, allargando lo spettro delle questioni ai compensi ancora ignoti dei conduttori e delle star e alle collaborazioni super pagate prese dall’esterno dell’azienda, in particolare dai pensionati di Repubblica, una quindicina dei quali con contratto a tempo indeterminato. Ma spunta anche un tema potenzialmente altrettanto spinoso, introdotto tra gli altri da Maurizio Gasparri: il piano editoriale, che in concreto significa le imminenti nomine dei direttori dei Tg. Si parla anche, ma non ancora abbastanza, dell’altra faccia della medaglia, cioè dei precari che mandano avanti l’azienda ma guadagnano pochissimo e senza alcuna sicurezza. «I dirigenti – commenta Nicola Fratoianni di Sinistra italiana – fingono di non capire che il problema è l’aumento delle diseguaglianze». Anche Gotor, della minoranza Pd, batte su quel tasto, il più dolentedi tutti: «Il contrasto tra un manipolo di privilegiati da una parte, centinaia di precari malpagati dall’altra, non è più sostenibile».
Sul fronte dei compensi, il più delicato perché il più sentito dagli utenti-elettori, i due dirigenti hanno in realtà tentato se non proprio di glissare almeno di derubricare a faccenda secondaria. «Non sono interessato alle polemiche sugli stipendi. Mi sento gestore della Res Pubblica», ha esordito altero il dg. Dal momento che con un compenso di oltre 600mila euro la faccenda un po’ lo riguarda, tuttavia, non ha potuto fare a meno di addentrarsi nella triviale faccenda: «Io vengo dal privato e per 22 anni ho avanzato richieste precise. Stavolta ho detto: ‘Fate voi’. Mi hanno detto che questo era il compenso del mio predecessore». Il quale, non ha però aggiunto il dg, se lo era poi autoridotto.

In ogni caso, niente paura: «Con la collaborazione del cda mi sono impegnato a trovare un percorso per mettere a punto in poche settimane un codice di autoregolamentazione. Le storture le abbiamo ereditate dal passato». Impegni precisi però Campo Dall’Orto non li assume, e anzi la lista delle necessità che segue è vasta a sufficienza da far presagire che, senza un intervento diretto del parlamento, il tetto resterà costruito con materiali elastici.
Il dg ha tentato anche un intervento più analitico e in realtà sensato. Ha segnalato come in Italia ormai le grandi aziende superstiti siano di fatto solo quelle pubbliche, come appunto il servizio pubblico radiotelevisivo. «Ogni strategia va impostata a partire da qui». Il tema è puntuale. Cosa significhi in concreto però non è chiaro e qualcosa di allarmante nel discorso del dg risuona: «Ho trovato molto interessante la frase di Orfini sulla necessità di mettere i sindacati con le spalle al muro».

Sullo spinoso discorso degli esborsi la presidente Monica Maggioni è persino più insofferente: «Non posso vedere un dibattito che schiaccia tutto sugli stipendi. Un’azienda che deve stare su un mercato complicatissimo deve avere dirigenti il cui livello retributivo abbia elementi di riferimento col mercato». Come argomento non è che sia proprio originale: sono decenni che gli scandalosi compensi dei manager pubblici vengono giustificati così: con la necessità di «riferirsi al mercato».

Il dibattito proseguirà oggi, ma l’M5S non vuol permettere che tutto si riduca a un botta e risposta. Ieri pomeriggio ha convocato una conferenza stampa per annunciare la presentazione di una serie di emendamenti alla legge sull’editoria, che arriverà in aula a palazzo Madama la settimana prossima, col doppio obiettivo di impedire l’aggiramento del tetto sugli stipendi e di alzare invece i compensi dei precari. I 5S sanno perfettamente che colpire Dall’Orto vuol dire affondare Renzi e Fico, presidente della commissione di vigilanza, non si lascia sfuggire l’occasione, consapevole di quanto impopolare sia il canone inserito in bolletta: «Ora i cittadini sanno cosa viene finanziato con quei 60 euro in più».