La strada che da Yuzhnoukrainsk si dirige verso Chisinau passa attraverso villaggi e città distrutte. Il pullmino che trasporta anche una decina di ucraini stipati sui sedili logori deve spesso abbandonare la carreggiata principale perché ostruita da cavalli di Frisia e mezzi militari, molti dei quali distrutti dai recenti combattimenti. Durante le deviazioni passiamo in fattorie i cui campi sembrano abbandonati. «Cosa mangeremo nei prossimi mesi?» chiede una donna che, con i suoi due bambini, ha lasciato il marito e il figlio maggiore a combattere. Non parla in terza persona, non chiede cosa mangerà chi non ha potuto o non ha voluto partire per rimanere in Ucraina. Coniuga tutte le frasi in prima persona perché lei, assieme agli altri, non vogliono rimanere rifugiati. Il loro futuro è qui, nel loro Paese e vedono questa fuga verso l’ovest come qualcosa di temporaneo. Il presente è solo un tempo sospeso tra il passato e il futuro che si dipana fluttuando in un limbo di angoscia.

LE BOMBE hanno diviso le famiglie, una fissione a catena impazzita, senza più alcun controllo che sta distruggendo la società di questa nazione. «I russi ci costringono a fuggire, ma noi ritorneremo e ricostruiremo l’Ucraina. Non vogliamo rimanere un giorno in più del necessario fuori dal nostro Paese» dice un vecchio che assieme alla moglie sta portando il nipote di cinque anni in Moldavia. I genitori sono rimasti a Mykolaiv, il padre a combattere nella milizia, la madre a continuare a lavorare nelle strutture pubbliche che ancora resistono all’assedio delle truppe di Mosca.

Dai finestrini osserviamo colonne di mezzi blindati procedere verso sud a difesa di Odessa. Ai posti di blocco chiedono quanti soldati russi abbiamo visto, quali sono gli armamenti, come sono dislocati. Ogni informazione verrà poi messa a confronto con le altre ricevute in modo da cercare di disegnare una mappa il più possibile realistica e aggiornata della situazione sul campo.

La distruzione non ha risparmiato neppure i villaggi più piccoli, quelli abitati da contadini che guidano trattori arrugginiti e dagli pneumatici talmente vecchi da avere i battistrada consunti e solcati da crepe. Le case dai muri irregolari e fronteggiate da giardinetti delimitati da staccionate verniciate con improbabili colori, sono quasi interamente distrutte. Da molte di esse si sprigiona ancora del fumo e il fuoco avviluppa qua e là ciò che resta di quello che un tempo era un granaio, una stalla, alcuni mobili, un’auto. In una casa il sole illumina una stanza le cui pareti sono completamente distrutte lasciandoci vedere una donna che sta cucinando una zuppa su una cucina a legna.

ARRIVIAMO al confine con la Moldova e ci fanno attraversare senza problemi. Un veloce sguardo alle carte d’identità e ai passaporti e siamo al di là dalla frontiera. In realtà dobbiamo ancora fare diverse decine chilometri prima di arrivare nella zona controllata dal governo di Chisinau. La lunga lingua di territorio che divide l’Ucraina dalla Moldova è l’autoproclamata repubblica indipendente di Transnistria, fedelissima di Mosca, ma non la Mosca attuale, bensì quella sovietica.

LA BANDIERA a strisce rosse e verdi del governo di Tiraspol ha in evidenza ancora la falce e martello con la stella sovietica e lungo tutto il percorso i vessilli nazionali vengono spesso accompagnati da quelli della Federazione russa. «La Moldova sarà la prossima vittima di Putin» sentenzia una ragazza, studentessa di biologia all’Università Sukhomlynskyi di Mykolaiv. Sono discorsi che ho sentito spesso durante la permanenza in Ucraina. Del resto, le analogie sono evidenti.

COME L’UCRAINA, anche la Moldova ha una forte rappresentanza russofona sul suo territorio, che però, a differenza dei vicini, è riuscita a ritagliarsi una propria autonomia convivendo più o meno in modo pacifico con la popolazione di origine romena.

Per cercare di evitare l’inasprimento delle tensioni, Chisinau ha accettato di aggiungere il russo al romeno come lingua ufficiale, ma la crisi costituzionale del 2019 che ha portato alla destituzione del presidente filorusso Igor Dodon viene vista da molti come la copia esatta degli eventi che hanno portato all’invasione ucraina, compreso l’appoggio dato da Vladimir Putin a Dodon. Lo stesso presidente russo, a suo tempo fece un diretto richiamo alla situazione ucraina affermando che, come nel vicino Paese oggi invaso dalle sue truppe, anche in Moldova il potere è stato preso da oligarchi che «hanno schiacciato tutte le strutture dello Stato».

NESSUNO degli ucraini arrivati qui in Moldova si sente più in pericolo, ma nessuno vuole rimanere troppo a lungo perché, tra i rifugiati, sono in molti a credere che, se l’Unione europea non riuscirà a dare una risposta ferma e univoca contro l’invasione, la prossima tappa di Putin sarà Chisinau.