Nella sua informativa alle camere, subito prima di partire per Berlino, Matteo Renzi dice pochissimo, ma da quel poco, tra le righe, è facile dedurre la strategia con la quale spera di giocare una partita difficilissima, nella quale la Brexit gli ha offerto una carta insperata. Quel voto «pesa come un macigno», però «rafforza anche le ragioni per cui abbiamo criticato, dall’interno, l’Europa». E’ ora che la Ue «si dedichi alle politiche sociali e alla crescita».

Il premier si rivolge naturalmente a tutti ma a qualcuno più che agli altri: «a quei partiti che credono nelle grandi famiglie europee». Significa rendere pubblico quell’appello che in privato il segretario del Pd aveva già rivolto ad Alfano, Casini e Cicchitto, nelle loro vesti di esponenti del Ppe in Italia. Le «grandi famiglie» del Pse e del Ppe devono unirsi per esercitare sulla Germania una pressione tale da convincerla ad allentare i cordoni della borsa. Quando rivolto al Parlamento dice che forse «ex malo bono» è questo che ha in mente: adoperare la Brexit come leva per ottenere dalla Ue il semaforo verde per la riforma dell’Irpef che ha in mente, una fotocopia di quella berlusconiana. Quella che dovrebbe funzionare come arma segreta per vincere il referendum d’autunno.

Il ragazzo di palazzo Chigi non si fa illusioni. Sa che l’invito a Berlino e l’ingresso nel direttorio europeo sono passi significativi, un regalo degli elettori inglesi, ma non sostanziali. In prima battuta l’invito era stato rivolto al solo Hollande: l’italiano è stato aggiunto in un secondo tempo e solo dopo le dovute pressioni. Nel merito, poi, la richiesta italo-francese, quella di mettere l’Uk alle strette costringendolo a levare le tende di corsa è stata cassata subito da chi comanda davvero. Frau Angela a sloggiare gli inglesi come avrebbero gradito l’Eliseo e palazzo Chigi non ci pensa per niente. Per strappare i fondi necessari alla riforma fiscal-elettorale, una ventina di miliardi tonda, bisognerà dunque mettere sul piatto della bilancia quanti più pesi possibile. Ma Renzi non dispera: «Ex malo, bono».

Non è l’unico vantaggio che il leader messo alle corde dalle elezioni nei Comuni e parzialmente resuscitato dal ciclone inglese spera di cavar fuori dalla tempesta d’oltre Manica. La parola d’ordine del referendum sta per cambiare. Anzi, a sentire i toni dei suoi nelle aule di Montecitorio e palazzo Madama, è già cambiata. D’ora in poi sarà il confronto tra la stabilità e il caos, tra un Paese governato, magari non benissimo, e la mandria allo sbando, dunque, in definitiva, tra Europa e anti-Europa. Su molte cose Renzi è ancora indeciso: sulla data del referendum, che potrebbe slittare di un mese e forse anche di due, sempre che non prevalga la paura di offrire frecce per la faretra a cinque stelle; sulla legge elettorale, che potrebbe ancora slittare dal premio di lista a quello di coalizione. Ma sulla decisione di giocarsi il tutto per tutto nelle urne referendarie Matteo Renzi è più convinto che mai. La Gran Bretagna e a maggior ragione la Spagna saranno gli argomenti contundenti che userà per trasformare il referendum in una specie di scelta tra la serenità e il diluvio universale.

Non sarà facile neppure così, e proprio il dibattito di ieri in Parlamento lo dimostra. Il pentastellato Di Battista, alla Camera, lo ha messo palesemente alle corde impugnando non l’antieuropeismo leghista ma un europeismo non guidato dalla finanza: «Siete voi che avete tradito l’Europa svendendovi a Bce e JP Morgan». Mai si era visto un Renzi così in palese difficoltà. Al Senato non era andata molto meglio. Loredana De Petris, per Si, lo aveva accusato di aver glissato su tutti i punti sostanziali indicando nelle politiche della Ue le vere origini della Brexit. M5S ha poi votato, oltre alla propria mozione, anche quella di Si, affermando di concordare su tutto. Persino la fittiana Bonfrisco e l’ex ministro Tremonti lo avevano inchiodato impietosamente.

Finché è il Parlamento, a Renzi in fondo importa poco, ma ritrovarsi di fronte a un simile fuoco di fila in campagna elettorale è molto più preoccupante. Per questo, più che della retorica sulla stabilità, Renzi ha bisogno come dell’ossigeno dei fondi per tagliare l’Irpef.