Avevamo visto già tutto, ma non una condanna definitiva a quattro anni per frode fiscale. La prospettiva distorta delle larghe intese porta immediatamente a concentrarsi sulla pena accessoria piuttosto che su quella principale. E dunque a chiedersi se, messo al riparo temporaneamente dall’interdizione, Berlusconi potrà sopravvivere politicamente alla sentenza di ieri. E se con lui potrà sopravvivere il governo di cui è azionista di maggioranza. La risposta, auspicabilmente negativa, dovrebbe darla il partito democratico. Ma dopo essere stati accusati per vent’anni da Berlusconi di connivenza con le toghe, quelli del Pd nel momento più grave si sono fatti trovare a fare il tifo per gli avvocati – meglio, per il nuovo avvocato – del cavaliere. E allora sarà ancora una volta Berlusconi a fare i suoi calcoli, e toccherà a lui accorgersi che il governo Letta ancora gli conviene.
E’ una legge del marzo 2000 quella che concede un supplemento di tempo a Berlusconi prima che (anche) l’interdizione diventi definitiva. Un decreto legislativo che fu uno degli ultimi atti del secondo governo D’Alema – «Nuova disciplina dei reati in materia di imposte» – che circoscrive da uno a tre anni la durata della pena accessoria per i colpevoli di frode fiscale.
Per quanto tempo il cavaliere dovrà stare lontano dal parlamento dovranno ricalcolarlo i giudici, di merito prima e di legittimità poi; tra nuovo appello e nuova Cassazione Berlusconi avrà tutto il tempo per adattare la sua strategia. Nel caso di una interdizione breve – possibile anche un solo anno, la stessa durata della pena detentiva che dovrà affettivamente scontare (non in carcere) – il leader del Pdl potrebbe avere la convenienza di non ostacolarne l’esecutività: tenendo in piedi il governo Letta per il tempo necessario potrebbe ricandidarsi già alle prossime elezioni.
Adesso, anche se per la coda in appello il processo Diritti tv-Mediaset non può dirsi ancora ufficialmente concluso, il Pdl non può più sperare nella prescrizione. La pena accessoria è diventata definitiva e quella accessoria ne segue la sorte. Ma ai berlusconiani restano tutti gli strumenti per ritardare l’esecutività dell’interdizione, se questa alla fine dovesse essere del periodo massimo previsto dalla legge del 2000, tre anni. Previti riuscì per oltre un anno a ritardare la decisione della giunta, e la sua interdizione era addirittura perpetua. L’interdizione temporanea pone in effetti il problema della conservazione del seggio, nel caso in cui la legislatura duri più della pena accessoria. Ma per Berlusconi c’è un altro problema più stringente: il decreto legge cosiddetto «liste pulite» stabilisce l’incandidabilità di chi ha riportato una condanna superiore ai due anni. Nulla di automatico però, anche in questo caso dovrà occuparsene il senato decidendo a maggioranza, come già per l’ineleggibilità sulla base della legge del ’57.
Più debole Berlusconi, più debole la maggioranza di cui è parte fondamentale. Eloquente la scena del dibattito parlamentare sulle riforme istituzionali, teoricamente il momento più alto della legislatura, che si interrompe in anticipo perché i deputati vogliono sintonizzarsi sulle dirette dalla Cassazione. Da ieri sera Berlusconi per il Pd è un alleato un po’ più imbarazzante, o molto più imbarazzante per chi legge la stampa straniera. Ma quanto sia ancora un alleato indispensabile lo prova l’immediata nota del presidente della Repubblica. Che invitando tutti a rispettare la magistratura, ha giudicato opportuno spingere proprio adesso le riforme della giustizia ipotizzate dai suoi «saggi». Tra le quali ci sono un bel po’ di vecchi cavalli di battaglia del neo pregiudicato.