La resistenza berlusconiana è appena cominciata. Si muoverà su due fronti, uno politico e l’altro tecnico. Con un unico obiettivo immediato: allontanare il voto della giunta del senato sulla decadenza del cavaliere. Che altrimenti avrebbe un esito scontato, come scontata è l’interpretazione del decreto legislativo Monti-Severino che dall’inizio di quest’anno sbarra le porte delle assemblee elettive (parlamento italiano, ma anche europeo e consigli regionali e comunali) ai condannati a più di due anni per reati gravi. Come Silvio Berlusconi, definitivamente, dal 31 luglio scorso.

Sul fronte politico il Pdl sta esercitando ogni pressione possibile per far cambiare idea al Pd, orientato a votare contro Berlusconi e a votare presto – la giunta si riunisce il 9 settembre. La minaccia ormai quotidiana di far cadere il governo Letta non è divenuta più credibile, ma certamente più rumorosa. Adesso anche fior di «colombe» berlusconiane riprendono i toni dei «falchi», che di conseguenza devono osare di più. E così se il capogruppo dei senatori Schifani, insieme a Cicchitto, chiama in causa Napolitano, chiedendo al capo dello stato un nuovo intervento sul «caso Berlusconi», Daniela Santanchè definisce direttamente «irricevibile» e «politichese» la nota del presidente della Repubblica «che è il vero capo del Pd».

È assai difficile però che Napolitano voglia intervenire di nuovo, avendo già chiarito dal suo punto di vista i termini della questione con il comunicato del 13 agosto scorso. Dal quale si capisce che il presidente non esclude un intervento di clemenza, ma lo circoscrive negli effetti (Berlusconi, cioè, dovrebbe lasciare comunque il senato) e lo condiziona a un cambio di tono dei due partiti maggiori. Da questo punto di vista se è vero che Berlusconi non ha dato segno di voler cogliere l’invito del Quirinale a «rispettare i doveri da osservare in uno Stato di diritto», è vero altrettanto che il Pd non si è incamminato verso quella «realistica presa d’atto di esigenze più che mature di distensione e di rinnovamento nei rapporti politici» che secondo il Colle potrebbe creare le condizioni per la pacificazione.

Ma non tutto il Pd è rimasto fermo. Enrico Letta ha approfittato del palco del Meeting di Rimini per mettere all’indice i «professionisti del conflitto» affezionati allo «scontro permanente», evidentemente rivolgendosi soprattutto alla sua parte politica. Il Pdl ha gradito, non si è accontentato, e ieri ha variamente ricordato al presidente del Consiglio che ottenere un cambio di atteggiamento dal Pd per il suo governo è questione di vita o di morte. Ammesso che Berlusconi possa effettivamente permettersi di aprire la crisi, e che gli convenga, il che è tutto da dimostrare.

Letta certo non potrà fare quello che gli chiede l’ultrà berlusconiana Biancofiore, che è anche sottosegretaria del suo governo, cioè inoltrare personalmente al Colle la domanda di clemenza per Berlusconi. E così altri dirigenti del Pdl, come Cicchitto e Gelmini, si rivolgono direttamente al Colle, spiegando a Napolitano che non può limitarsi alla nota di ferragosto, ma «deve ulteriormente misurarsi con la gravità della situazione» di Berlusconi. Dice di più il solitamente felpato Schifani, che era stato con Brunetta il latore materiale delle richieste di Berlusconi al Quirinale: «Da Napolitano ci aspettavamo di più, non ho trovato nella nota quello che avevamo richiesto».

Berlusconi, dunque, ha deciso. Napolitano gli aveva suggerito di riconsiderare il suo futuro politico, il Cavaliere scrive su facebook «Resisto! Non mollo. State tranquilli che non mi faccio da parte, resto io il capo del centrodestra». Marina può attendere. Nell’attesa di vedere gli effetti del ricatto continuo su Napolitano, su Letta e sul Pd.

Gli spiragli non bastano, Berlusconi ha bisogno di restare in parlamento per evitare di trovarsi senza alcuna protezione di fronte alle prossime sentenze (Ruby, compravendita dei senatori). Ed è sempre Schifani a indicare il fronte tecnico della resistenza: «Intendiamo fare in modo che la legge Severino sia valutata dalla Consulta». Si tratta, bisogna ricordarlo, di una legge votata dal Pdl solo pochi mesi fa, in commissione e in aula. Per la quale non è possibile un ricorso «incidentale», cioè per valutarne la legittimità, da parte del parlamento, giunta o aula che sia. Al massimo le camere possono sollevare un conflitto di attribuzione, ma non è questo il caso. Anche se qualche giurista disponibile a sostenerlo il Pdl lo ha trovato, e si prepara a farlo sfilare in audizione. Con la speranza, anticipata dal presidente della prima commissione Donato Bruno, di far slittare la decisione sulla decadenza di Berlusconi da settembre addirittura a dicembre.