Si candida Marina? Oddio, e come si fa con la scarsa presenza scenica e con quella voce poco ammaliante? Allora Barbara? Sì, lei lo schermo lo buca come il babbo, però va bene competere con i renziani quanto a giovinezza e inesperienza, ma non sarebbe comunque esagerato? E come la prenderebbero i figli di primo letto, che quanto a diritti di primogenitura hanno una nota sensibilità? Piersilvio allora? Non è escluso, ma con la politica non ci ha mai azzeccato niente e ha fatto il possibile, anzi, per non essere un uomo pubblico.
Come sempre nei momenti di difficoltà, e stavolta più che mai, Silvio il Disarcionato esita e oscilla indeciso. E non deciderà fino all’ultimo momento utile, probabilmente dopo il vero giorno del giudizio, il 10 aprile. Non si tratta solo di essere certi che verrà accordato l’affidamento ai servizi sociali e non scatteranno invece gli arresti domiciliari. Bisognerà anche vedere quanta elasticità verrà concessa anche nel caso dell’affidamento. Le prescrizioni sono modulabili a discrezione dei magistrati di sorveglianza, e possono rivelarsi tali da rendere quasi impossibile l’attività politica. Gli incontri, le partecipazioni ad assemblee pubbliche e a riunioni in sedi esterne, la possibilità di ricevere a casa i suoi alti ufficiali, per non parlare dei controlli continui, possono essere stabiliti in modo tale da metterlo fuori gioco come leader. Quasi sicuramente gli impediranno non solo di candidarsi alle prossime elezioni, ma anche di fare in prima persona la campagna elettorale. Senza di lui, per Fi sarà un calvario.
Il Tribunale di sorveglianza di Milano, quello dalle cui decisioni tutto dipende, è uno dei più duri e di manica stretta che ci siano in Italia. Lo è sempre e con tutti, ma nel caso del condannato Berlusconi una certa severità in più da parte della procura di Milano i forzisti se l’aspettano. Per questo il no-Cav, che nella grazia neanche più spera, è di giorno in giorno più spaventato e rinvia ogni decisione politica a a quando saprà di che morte deve morire. Al punto che starebbe prendendo in considerazione, ove le “prescrizioni” fossero davvero proibitive, persino l’ipotesi di abbandonare la presidenza di Forza Italia.
Non lo farà, o, se sarà costretto dagli impedimenti oggettivi a farlo, manterrà una qualche forma di presidenza onoraria, qualcosa che permetta alla sua creatura politica di continuare a spendere il suo nome. Perché almeno questo è certo: nelle prossime prove elettorali, alle elezioni europee di sicuro, a quelle politiche se la situazione precipiterà prima del 2016, gli elettori devono avere l’illusione di andare a votare per lui. Col nome sul simbolo, con un discendente in lista, oppure adoperando tutti e due gli espedienti.
C’è anche una seconda certezza. I parlamentari saranno in lista; i capibastone Brunetta, Fitto, Toti e Tajani, saranno capolista. Ancora non è ufficiale ed è quello che sino all’ultimo momento il gran capo aveva sperato di evitare. Impossibile. Non solo e non tanto perché vorrebbe dire portare alle stelle una tensione che nello stato maggiore azzurro è già altissima e che si traduce anche in una sorda (per il momento) fronda contro l’abbraccio con Renzi, che si sta rivelando mortale più per l’ex cavaliere che per l’ex sindaco. Questi equilibri naturalmente hanno avuto il loro peso nello spingere l’Interdetto a cambiare idea sui parlamentari in lista. Ma l’argomento risolutivo è stato un altro. Senza quei nomi, la loro notorietà e le loro clientele, la lista, già monca del capo e del suo talento di piazzista politico principe, rischia di andare a fondo. Rischia, in concreto, di scendere sotto il 20 per cento e di arrivare terza, dopo il Pd e dopo il M5S. E se l’udienza del 10 aprile è l’incubo che tormenta il cittadino Silvio, quel risultato elettorale catastrofico è lo spettro che agita il leader politico Berlusconi.