Niente ferma i miliziani libici. Neppure l’approvazione della legge che mette al bando gli uomini vicini a Muammar Gheddafi dalle cariche pubbliche. Questa nuova norma provocherebbe le dimissioni di ministri e leader politici che si sono riciclati in occasione delle ultime elezioni, tenutesi il 7 luglio scorso. Ma i miliziani non sono soddisfatti e chiedono le dimissioni del governo guidato dal premier Ali Zeidan. Da giorni circondano i ministeri degli Esteri, della Giustizia e altri edifici pubblici a Tripoli.

La nuova norma non è chiara sulla sorte di Zeidan, che rischia di essere deposto insieme ad altri 4 ministri, così come il presidente dell’Assembla nazionale, Mohamed Magarief. Zeidan e Magarief erano diplomatici durante il regime del Colonnello, al potere dal settembre 1969 al 20 ottobre 2011. I due politici contestati avevano lasciato il regime ed erano passati all’opposizione in esilio nel 1980. «Siamo determinati a continuare la nostra protesta fino alle dimissioni di Ali Zeidan», ha dichiarato Osama Kaabar, uno dei leader delle milizie e vicepresidente del Consiglio superiore dei “rivoluzionari” libici.

[do action=”quote” autore=”Osama Kaabar, Consiglio superiore dei rivoluzionari libici”]«L’adozione della legge costituisce un grande passo nella giusta direzione. Ma ci prendiamo un po’ di tempo per esaminarne alcuni punti»[/do]

I miliziani avevano promesso di porre fine all’assedio dei ministeri se la legge anti-gheddafiani fosse passata. All’annuncio dell’approvazione si erano svolti festeggiamenti in piazza. Ma i ministeri sono rimasti circondati da uomini armati e veicoli equipaggiati con mitragliatori e razzi anti aerei. «L’adozione della legge costituisce un grande passo nella giusta direzione. Ma ci prendiamo un po’ di tempo per esaminarne alcuni punti», ha continuato Osama Kaabar, che accusa il premier di voler «provocare i rivoluzionari» con la campagna per liberare Tripoli dalle milizie armate. Dal canto suo, Zeidan ha accusato gli organizzatori delle proteste attorno alle sedi dei ministeri di avere «ambizioni politiche personali».

Gli ex-lealisti di Gheddafi sono ancora presenti tra gli abitanti di alcune città che erano state favorite dal regime e anche tra gli esiliati che ora sono tornati nel Paese. Gli ex-lealisti di Gheddafi si sono dimostrati spesso ostili rispetto al nuovo governo centrale. La loro roccaforte è la città di Bani Walid. Si sono rafforzati qui in seguito al lungo assedio della città. Sembrano ora limitarsi a gruppi di autodifesa più che ad azioni che abbiano lo scopo di sovvertire la stabilità del paese. Questo rende la minaccia dei lealisti gheddafiani molto seria a livello locale ma non pericolosa a livello nazionale. Le oltre 200 milizie esistenti sono invece piccole organizzazioni, in possesso di armi pesanti. Spesso sono impegnate in combattimenti contro altre milizie più che contro la polizia.

La sicurezza nel paese è peggiorata anche dopo l’esplosione, due settimane fa, di un’autobomba davanti all’ambasciata francese a Tripoli, che ha ferito due gendarmi francesi addetti alla sicurezza, una 18enne libica e ha causato gravi danni. Per la prima volta, gli interessi diplomatici francesi sono stati presi direttamente di mira, nonostante l’intervento di Parigi e Londra abbia finalmente favorito i gruppi salafiti libici, lungamente repressi dal regime del Colonnello. L’attacco non è stato rivendicato, ma gruppi jihadisti sembrano averlo ideato come rappresaglia contro l’intervento francese in Mali.