L’incubo inizia a dissolversi a metà pomeriggio, quando gli exit poll assegnano a Bonaccini un vantaggio netto, destinato a crescere di ora in ora.P er Conte e per i suoi ministri è qualcosa che somiglia a una resurrezione. Non è solo un modo di dire. La sconfitta in Emilia, nonostante le dichiarazioni d’ordinanza, avrebbe reso il traguardo della fine della legislatura un miraggio. Palazzo Chigi si sarebbe trasformato in un bunker e e il primo a finire nel mirino, con l’accusa di portare a fondo chiunque lo sostenga, sarebbe stato proprio Conte. Tra i vincitori assoluti di ieri, pur senza grandi meriti e anzi al termine di una partita nella quale ha pesato positivamente soprattutto con l’ assenza, c’è anche lui.

Le difficoltà, sia chiaro, ci sono ancora tutte: il dissolvimento dei 5S, la fronda permante di Renzi, la divisione di una maggioranza che, come tale, non è mai nata. Ma forse per la prima volta da agosto Conte e Gualtieri possono sperare di avere tempo e respiro per provare ad affrontarle.

Le condizioni psicologiche, tutt’altro che secondarie, ci sono. Quelle politiche quasi. E’ stato proprio Salvini, sovraccaricando di significato la sfida, trasformandola in un referendum su se stesso, a garantire la spinta di ottimismo e fiducia che, nonostante il disastro in Calabria, da questa mattina e almeno per un po’ accompagneranno l’azione di governo.

Le condizioni politiche sono meno nettamente luminose ma registrano comunque uno scarto sensibile rispetto al quadro precedente. Il Pd ha vinto, anzi stravinto, senza bisogno dell’aiuto pentastellato. E’ ora in condizioni di “dare le carte” al tavolo del governo, di imporre i propri indirizzi soprattutto sul fronte della politica economica, pur con la dovuta diplomazia per non rendere del tutto impazzita la situazione di un M5S in ginocchio. E’ possibile, anzi probabile, che il partito di Zingaretti chiederà di rivedere i rapporti di forza nella squadra. Non è affatto escluso che esiga qualche poltrona in più. Ma anche in questo caso senza esagerare, perché ora più che mai gli interessi di Zingaretti e Conte coincidono ed entrambi hanno bisogno di tempo e di quanta più pace possibile per tentare, non una ripartenza del governo giallorosa, ma una vera partemnza, dopo quella falsa di settembre.

Anche la potenza di fuoco del guastatore Renzi esce ridimensionata dal duello emiliano. La sconfitta di Bonaccini gli avrebbe formito l’assist ideale per provare a imporre una sterzata proprio sul fronte decisivo della politica economica e soprattutto per invocare il cambio della guardia a palazzo Chigi, con la messa alla porta di Conte. Almeno per un po’, il ragazzo di Rignano dovrà tenere a freno l’impeto.

E’ in questo lasso di tempo che Conte e Gualtieri intendono mettere in cantiere quella che in area di governo non esitano a definire “rivoluzione copernicana”. Significa, in concreto, mettere subito mano a una riforma fiscale molto ambiziosa, una revisione complessiva e probabilmente centrata sulla progressività. Significa dare seguito concreto alle molte parole, sin qui seguite da pochissimi fatti, sulla svolta verde. Tanto più se Conte il diplomatico riuscirà a ottenere da Bruxelles segnali positivi e sostanziosi. Il terzo capitolo della “rivoluzione copernicana” è forse il più difficile ed è quello sul quale a tutt’oggi il governo è più arretrato: il lavoro, soprattutto dei giovani e nel sud. L’Emilia è stato un raggio di sole, e politicamente la partita cjhiave era quella. Non significa però che si possa fingere che la Calabria non esista e non racconti una storia opposta. Senza una ripresa corposa dell’occupazione nel sud, l’ambizione di arrivare alle prossime elezioni in posizione competitiva resterà un miraggio.

C’è una spina, un ostacolo che potrebbe rivelarsi fatale, in questo piano strategico che si concretizzerà già nei prossimi giorni con la definizione di quel “crooprogramma” che, promesso e annunciato per gennaio, era stato poi riviato in attesa del verdetto emiliano. Per varare e poi inizIare almeno a realizzare politiche così ambiziose è necessario che la maggioranza sia tale di fatto e non solo di nome. Che sia una coalizione, non un accrocco cementato dalla paura del nemico comune. La speranza di Conte è che il disastro dei 5S li costringa a prendere una decisione, a scegliere l’alleanza stabile con il Pd. Il passaggio ormai è ineludibile. Ma nessuno si nasconde che è ad alto rischio di deflagrazione.