In questi anni di viaggi assieme ai miei colleghi di Italia che Cambia mi è capitato più volte di incontrare Daniela Ducato. Eppure ogni volta è una sorpresa: la sua filosofia rimane la stessa, ma i concetti, i progetti e le idee si evolvono a ritmi impressionanti. Questa volta non ha fatto eccezione.

Lei vince premi in continuazione come imprenditrice, ma in realtà è una definizione che non è del tutto corretta, giusto?

Già, sono esterna a tutte queste attività, opero assieme ad altri professionisti per conto dell’associazione Casa Verde: non ho aziende, non ho società, non ho quote sociali né utili. Favorisco l’incontro fra aziende e fra persone, ho messo insieme un team multidisciplinare, ma niente di quello che faccio è una «mia iniziativa». Non lo dico per modestia, è proprio così, si tratta sempre di un lavoro corale. Inoltre ogni azienda ha la sua storia indipendente da me. Io sono una freelance, una sorta di referente per l’economia circolare laddove serve.

È una sua scelta?

Sì, ho scelto di avere questa relazione più «esterna» per non perdere la dimensione oggettiva. Non c’è niente di male nell’interesse economico in sé, ma nel mio ruolo ci sarebbe il rischio che quello diventasse il mio unico obiettivo, mentre i miei interessi sono molteplici ed anche non solo aziendali, lo faccio accettando tutti i rischi della precarietà.

In ogni suo progetto ci sono alcuni elementi comuni: il fatto di non usare materie prime, di creare sinergie fra aziende, di non produrre rifiuti. C’è altro?

Innanzitutto quando nella scelta dei materiali concorrono anche altri fattori. Il fatto che non siano mai materie prime sottratte agli ecosistemi, né prodotte ad hoc, è un prerequisito, ma non è sufficiente. È altrettanto importante conoscere la storia e la geografia dei materiali. Dove vengono prodotti, da chi, in quali condizioni. Perché i materiali sono pezzi di mondo, hanno dentro persone, economie. Hanno dentro le donne, che nella green economy sono quelle più sfruttate perché costano meno: penso ad esempio a quelle donne che lavorano la fibra di cocco in Africa, immerse nei veleni. Chi usa la fibra di cocco lo fa pensando di usare un materiale buono, pulito vegetale, non sa quanta morte e disperazione sta creando dall’altra parte del mondo. E allora è importante conoscere le storie, le geografie, le persone che stanno dietro ai materiali. Oltre a non impoverire l’ecosistema naturale è importante anche guardare ai cicli produttivi, che siano democratici e non vi sia sfruttamento.

Quali sono le caratteristiche tecniche comuni ai suoi prodotti?

Innanzitutto è importante che siano ecologici e sani per chi li utilizza e per l’ambiente. Per questo nel nostro team multidisciplinare, oltre ad ingegneri, agronomi, chimici, biologi, geologi, abbiamo anche medici e pediatri. Poi è fondamentale che i prodotti abbiano prestazioni elevate: non può bastare che siano ecologici, devono avere caratteristiche tecniche uguali o superiori ai prodotti petrolchimici. Infine, costi sostenibili, perché la salute e l’ecologia non possono rientrare fra i beni di lusso, devono essere per tutti.

Molti si concentrano sul riciclo, mentre lei parla di non produrre rifiuti, come mai?

Spesso riponiamo molta fiducia nel riciclo, ma la parola riciclo è una parola di transizione, che dobbiamo limitare. Prendiamo la plastica: ne continuiamo a produrre sempre di più, ne ricicliamo una piccola parte, e anche per quella che ricicliamo, sappiamo cosa succede? Per riciclare le bottiglie di plastica e trasformarle nel mio giubbottino tanto ecologico devo recuperare quelle bottiglie, aggiungere acqua e altri polimeri, consumare energia. E alla fine il mio giubbottino diventerà comunque un rifiuto, perché il petrolchimico non lo posso riciclare all’infinito. Quindi è uno stoccaggio temporaneo: stiamo soltanto rimandando il problema. Dobbiamo iniziare a progettare oggetti con un design plastic free, senza petrolchimica e che non diventino rifiuti.

Parliamo di economia circolare, quali ostacoli vede alla sua diffusione nel nostro paese?

Economia circolare vuol dire dal mio punto di vista anche democrazia e condivisione dei saperi. In questo senso vedo due grossi limiti: la mancanza di condivisione delle informazioni e delle ricerche scientifiche e la «verticalità» del mondo dell’innovazione. Mi spiego meglio: l’Italia e l’Europa investono un sacco di denaro pubblico per finanziare la ricerca nelle università e negli istituti di ricerca, ma i risultati di queste ricerche non vengono resi pubblici. Non esiste una banca dati condivisa, perciò si tendono a replicare gli stessi studi e gli stessi errori. Questo è un enorme spreco di risorse e denaro pubblico. Un altro problema è la mancanza di multidisciplinarità. Quello dell’innovazione è un ambiente spesso verticale e competitivo, in cui è difficile integrare approcci e punti di vista differenti. Ma è fondamentale farlo: guardare a un problema da vari punti di vista, con varie competenze ci aiuta a trovare soluzioni migliori. Per questo noi lavoriamo con ingegneri, agronomi, chimici, biologi, geologi, medici. La cosa bella è che quando le persone si incontrano e confrontano si produce un’idea del limite che è alla base dell’innovazione.

Progetti futuri?

Adesso il mio impegno è molto incentrato soprattutto sulla formazione, di cui c’è un gran bisogno. Spesso anche chi opera negli ambiti del ripristino ambientale o della progettazione sostenibile finisce per utilizzare derivati petrolchimici, causando danni all’ambiente e immettendo microplastiche nel suolo. Offriamo a progettisti, architetti, ingegneri, designer una formazione completa, non la classica formazione in bioedilizia. Spesso non basta usare un materiale, bisogna abbinarlo in un certo modo, farsi certe domande. Come posso ottenere di più usando meno? Come posso abbinare correttamente i materiali? Che storia hanno questi materiali? Come e dove vengono prodotti? La loro produzione arricchisce o impoverisce le economie locali? La filiera è sana ed ecologica a tutto tondo? Per costruire un’economia realmente circolare è necessario considerare l’intero ciclo di vita dei materiali che utilizziamo e dei prodotti che progettiamo.