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Ora i saggi scendono al ruolo di “ricognitori”

Ora i saggi scendono al ruolo di “ricognitori”Giorgio Napolitano – Quirinale

Quirinale Incognita mercati, oggi si riunisce la commissione, mezzo Pd freddo, il Pdl già spara. Il Colle precisa: iniziativa «assolutamente informale e a tempo». In attesa della quadra sul nuovo capo dello stato

Pubblicato più di 11 anni faEdizione del 2 aprile 2013

La doppia commissione di maschi «saggi» over 50 ha creato non poche obiezioni fra le file di commentatori e costituzionalisti? E allora il Colle, in attesa del verdetto dei mercati internazionali – unici veri destinatari del colpo di scena di sabato, soprattutto della quasi-reinvestitura del governo uscente Monti – scarta dalle liturgie quirinalizie e risponde ai cittadini (tutti, non solo gli onorevoli a 5 stelle) anche a mezzo twitter. Lo fa l’ufficio stampa del Colle, con un comunicato. E lo fa di persona il suo direttore Pasquale Cascella (dato in corsa per fare il sindaco di Barletta, la sua città). Che ieri ha corretto la notizia che il presidente della Bce Mario Draghi avesse chiamato Napolitano per consigliargli di non dimettersi: «Per la verità è stato Napolitano a chiamare Draghi e altri per approfondire la situazione determinatasi».
Napolitano stamattina riunirà i due tavoli (il primo, quello economico, alle 11 e il secondo, quello istituzionale, alle 12) e fornirà «ogni ulteriore chiarimento» di fronte ai «legittimi dubbi e scetticismi ma anche timori e sospetti artificiosi e del tutto infondati». Ieri persino Valerio Onida, uno dei nominati, su Repubblica si confessava «non particolarmente ottimista» sul lavoro delle commissioni.

 

Ma una cosa il presidente fa sapere, per stoppare i mal di pancia delle camere sul ruolo dei nuovi nominati: «Il carattere assolutamente informale e il fine puramente ricognitivo dell’iniziativa», e anche «i suoi limiti temporali». I «saggi», insomma, già al primo giorno di nomina scendono al rango di «ricognitori», quindi marchingegni disarmati; persino «assolutamente informali». Non sono «generici saggi», spiega ancora Cascella via twitter a una cittadina, «ma personalità scelte con criteri oggettivi in funzione del lavoro svolto». Allora perché fra loro non è rappresentato «il lavoro che paga il prezzo più alto nella crisi su occupazione, libertà e diritti»?, replica Giorgio Airaudo, ex Fiom e deputato di Sel.

 

Le precisazioni del Colle rispondono ai dubbi di molti costituzionalisti sull’iniziativa del capo dello stato. Ma soprattutto tentano di parare i colpi dei partiti. Per un giorno Grillo, favorevole a intermittenza, tace. I siluri arrivano però dal Pdl: Berlusconi fa sapere, non amichevolmente, di non aver avuto un ruolo nella scelta dei nomi. Sarebbe tentato di far saltare i tavoli. Ma sulla «non belligeranza» del Pdl il Colle avrebbe ricevuto garanzie da Gianni Letta.

 

Quello che interessa al Cavaliere, l’ha detto persino dal dalla Vetrata del Quirinale, è il nome del successore di Napolitano. Con il timore è che, accantonata la trattativa sul governo, Pd e Sel possano accordarsi con Scelta civica se non addirittura con le 5 stelle su un nome indigeribile a destra. Gli uomini di Bersani fanno circolare il nome della pm Ilda Boccassini. Ma è, appunto, uno spauracchio, uno spettro agitato per abbassare le pretese del Cavaliere.

 

Anche perché dentro il Pd le voci favorevoli alle larghe intese, e quindi a «trattare», sono sempre più frequenti. Dal palazzo arrivano boati di un possibile Enrico Letta a Palazzo Chigi. Non a caso ieri, nella pausa di Pasquetta, dal Pd si facevano sentire i contrari al ritorno alle urne. «Ipotizzare di precipitare verso le elezioni senza cambiare la legge elettorale, come fanno in coro gli esponenti del partito di Berlusconi, non è responsabile», spiega Walter Verini, già braccio destro di Veltroni. «Tornare a votare con il porcellum riprodurrebbe, con molta probabilità, la stessa situazione di paralisi e di stallo». Verini si rivolge al Pdl, ma le sue parole parlano anche ai bersaniani: come i ’giovani turchi’, disponibili a dire a un governo del presidente ma solo a patto che sia votato anche da M5S. Per evitare di dare a Grillo la formidabile argomentazione dell’«inciucio» per i mesi a venire.

 

Ma è un nodo, il famoso e negato piano B, che Bersani nel corso del suo tentativo si è ben guardato dall’affrontare. Tutto fermo, dunque, nel Pd. Che, giura il renziano Paolo Gentiloni, «non si metterà a discutere delle vicende interne fin quando non sarà sciolto il nodo della legislatura e del governo. Il punto di equilibrio nel Pd deve essere il sostegno senza se e senza ma allo sforzo che sta facendo Napolitano». Sforzo che però sembra destinato a chiudersi con un nulla di fatto. Il Pd dunque si troverà a presto a discutere del proprio candidato al Colle. Un nome che già in sé prefigurerebbe l’esito dello scontro interno: la maggioranza che voterà il nuovo capo dello stato sarà la stessa

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