Turchia al centro della scena nella partita tra Usa, Nato e Califfato. Venerdì, Ankara ha aperto le frontiere ai profughi in fuga da Kobani, terza città curda in Siria, assediata dalle truppe dello «Stato islamico dell’Iraq e della Siria» (Isis). Oltre 130.000 siriani, principalmente curdi, hanno passato i confini. Ora, però, il governo turco ha deciso di chiudere tutti i valichi frontalieri con la Siria (oltre 900 km di confine). E l’esercito ha respinto con lacrimogeni e cannoni ad acqua una manifestazione di curdi-turchi, sotto gli sguardi disperati delle migliaia di civili lungo i reticolati.
Insieme a Israele, Ankara è la più importante forza militare del Vicino Oriente e, nella Nato, è seconda per numero di effettivi solo agli Stati uniti. La sua attitudine nei confronti dell’Isis è però tutt’altro che allineata al campo Nato.

La sua grande preoccupazione – ha spiegato al segretario nordamericano alla Difesa, Chuck Hagel – è quella che le armi fornite dallo schieramento internazionale alle formazioni che combattono l’Isis, perciò anche ai combattenti curdi del Ypg a Kobani,- finiscano in mano ai guerriglieri curdi di Turchia. Il movimento curdo non ha peraltro mai smesso di accusare la Turchia di aver foraggiato i jihadisti e di averne agevolato il passaggio ai suoi confini. Un appoggio confermato alla stampa internazionale dagli stessi qaedisti: addestrati specialmente nella base di Reyhanli, in territorio turco, per essere inviati a combattere contro il governo siriano di Bashar al Assad.

«Non ci sono più limiti alla resistenza, bisogna unire tutte le forze, è arrivato il giorno dell’onore e della gloria», ha scritto in un comunicato il Partito dei lavoratori curdi (Pkk), invitando tutti i curdi alla mobilitazione contro i jihadisti. I curdi sono il più grande popolo senza patria esistente al mondo, sparso in quattro paesi – Siria, Turchia, Iraq e Iran – e presente, con una importante diaspora, nei paesi dell’ex-Unione sovietica, in Europa, negli Stati uniti e in Australia. Si stima che siano fra i 35 e i 40 milioni: 15 milioni in Turchia (ovvero il 20% della popolazione complessiva), da 6 a 7 milioni in Iran (8-10% della popolazione), 2 milioni in Siria (9% del totale) e 5 milioni in Iraq (22% degli iracheni).
Dopo la travolgente avanzata dell’Isis nel nord dell’Iraq, la questione curda non è mai stata così attuale come in questo momento. I peshmerga (soldati del Kurdistan iracheno), ma anche i guerriglieri del Pkk, basati sia in Turchia che in Siria e con un retroterra anche in Iraq, sono scesi in campo contro il Califfato, costituendo quasi l’unico valido argine. In Iraq, appoggiati dai bombardamenti aerei nordamericani e dalle armi arrivate dagli Stati uniti e dall’Europa (Francia, Regno unito, Germagna, Italia e Repubblica Ceca) hanno fermato il dilagare del Califfato. In Siria, dopo giorni di combattimento, hanno contenuto i qaedisti nella zona di Kobani, al confine con la Turchia. La settimana scorsa, i jihadisti si sono impadroniti di 64 villaggi della regione, costringendo la popolazione alla fuga. Ora assediano Kobani per avere il controllo totale su un’ampia fascia della frontiera siro-turca.

L’alleanza tra una parte degli oppositori al governo siriano e i responsabili curdi ha chiesto alla coalizione internazionale l’appoggio di attacchi militari, che finora non sono arrivati. Obama si è detto pronto ad allargare la portata degli attacchi contro l’Isis, ma non vuole fare favori al governo Assad. La Francia, unico paese oltre agli Stati uniti ad aver bombardato l’Isis in Iraq, ha affermato che non intende intervenire in Siria. Intanto, Obama all’Onu ripropone la «guerra al terrorismo» in un sempiterno tentativo di richiudere il vaso di Pandora contenente i mostri che il capitalismo neocoloniale ha creato. E i curdi tentano di giocare la loro scivolosa partita mentre, nell’isola d’Imrali, il leader del Pkk prigioniero, Abdullah Ocalan, cerca di tenere in piedi il tavolo di trattativa con il governo turco.

Finora, le regioni curde in Siria – in primis Rojava, dove vige un funzionamento autonomo che i curdi vorrebbero estendere come modello di proposta regionale anche alla Turchia – erano state relativamente risparmiate dal conflitto in Siria, che dura dal 2011. E nella zona si erano rifugiati anche siriani non curdi che ora combattono il Califfato. In un messaggio diffuso in diverse lingue, i quaedisti hanno invitato i loro adepti a uccidere i cittadini dei paesi impegnati nella coalizione: «Se potete ammazzare un infedele americano o europeo – in particolare i cattivi e sporchi francesi – o un australiano o un canadese, o qualunque altro cittadino dei paesi entrati nella coalizione contro lo Stato islamico, allora contate su Allah», ha scritto l’Isis.