Tramite una nota del dipartimento di Stato gli Stati Uniti hanno comunicato all’Onu l’intenzione di ritirarsi dall’accordo di Parigi sul clima siglato da Obama nel dicembre 2015, non appena avranno la possibilità di farlo, secondo i termini stabiliti dal documento.

Senza apparentemente accorgersi della contraddizione, nella stessa nota, gli Usa dichiarano la loro intenzione a continuare comunque a partecipare ai colloqui internazionali sui cambiamenti climatici.

«Gli Usa – si legge nel comunicato – continueranno a partecipare ai negoziati e agli incontri internazionali sui cambiamenti climatici per proteggere gli interessi Usa e assicurare che all’amministrazione restino aperte tutte le possibili opzioni». Per cui «questa partecipazione include i negoziati in corso sulle linee guida per applicare l’accordo di Parigi».

Quei cambiamenti climatici che Trump, sin dai dibattiti delle primarie repubblicane, definisce una bufala inventata dalla Cina per nuocere al commercio americano, visto che sono al centro di dibattimenti internazionali, vanno monitorati, anche per escludere che si formi un nuovo tipo di complotto anti-statunitense.

La decisione del ritiro era stata presa già due mesi fa da Trump, ma per completare il processo ci vorrà tempo, almeno fino al 2020.

Nel frattempo gli Usa si riservano comunque il diritto di condizionare il dibattito internazionale sul clima pur non aderendo ai principi sulle emissioni stabiliti in Francia e dichiarandosi «aperti a impegnarsi nuovamente nell’accordo di Parigi se verranno definiti termini più favorevoli al paese, alle sue imprese, ai lavoratori e ai contribuenti», perché «gli Usa sostengono un approccio equilibrato a politiche sul clima che abbassino le emissioni promuovendo crescita economica e garantendo sicurezza energetica».

Le Nazioni Unite hanno confermato pubblicamente di aver ricevuto la comunicazione. Ma al di lá della prassi burocratica il Palazzo di Vetro non ha mancato di rimarcare il proprio disappunto: visto che per gli Stati Uniti l’accordo «è entrato in vigore» il 4 novembre 2016, la prima data per salutare concretamente Parigi è il 4 novembre 2020, in quanto ai sensi dell’articolo 28 dell’Accordo di Parigi, una parte può ritirarsi in qualsiasi momento dopo tre anni dalla data in cui l’accordo è entrato in vigore nel paese e tale revoca avrà effetto solo dopo un anno dalla data di ricezione da parte del Depositario della notifica di recesso.

Oltre a ciò «la decisione degli Stati Uniti di ritirarsi è una grande delusione – ha dichiarato il segretario generale Guterres – È fondamentale che gli Usa rimangano leader sul clima e lo sviluppo sostenibile».

Riguardo la volontà di Trump di mantenere comunque un piede dentro il dibattito, Andrew Steer, presidente del World Resources Institute, ha specificato che «gli Stati Uniti possono impegnarsi in modo costruttivo in questi negoziati», ma «un attore solitario che ha deciso di recedere non sarà ascoltato se vuole indebolire o minare l’accordo in un modo o nell’altro».

Sin da quando Trump ha annunciato la volontà di uscire dall’accordo città e interi Stati hanno annunciato la propria intenzione di non seguire la decisione del presidente e di continuare ad aderire ai principi stipulati nel 2015.

New York (città e Stato), California, Washington sono stati i primi, ma in breve la lista si è allungata rivelando quanto in realtà Trump sia sempre più il presidente di se stesso più che degli Stati Uniti.

Tra l’altro, proprio nel giorno in cui gli Usa hanno formalizzato il ritiro da Parigi The Lancet, rivista scientifica di ambito medico, ha pubblicato i risultati di uno studio del Centro comune di ricerca della Commissione europea: se non verranno adottate misure per contrastare l’emissione di gas serra, il surriscaldamento climatico potrebbe causare in Europa la morte di 100mila persone l’anno prima della fine del secolo.

Interesserà due persone su tre che diverranno vittime delle ondate di caldo torrido che non saranno più un fenomeno inusuale, ma la normalità.