Alla fine il dado, Putin lo ha tratto. Ieri davanti a migliaia di lavoratori e pensionati della fabbrica automobilistica Gaz ha annunciato che si candiderà per le elezioni presidenziali previste per il 18 marzo 2018. In realtà l’annuncio era previsto per domenica sera all’ora del telegiornale ma i suoi spin doctors lo hanno consigliato di sfruttare l’ondata di emozione e di sdegno dei russi seguita all’esclusione della Russia in quanto Stato dalle olimpiadi invernali sudcoreane del 2018.
Nel suo annuncio il presidente ha espresso la convinzione che sia necessario «rendere la Russia flessibile e altamente competitiva. Flessibilità in termini di forme e metodi di gestione, dal punto di vista dello sviluppo dell’economia, guardando al futuro in termini di introduzione delle più avanzate tecnologie».

La sua campagna elettorale sarà sobria: poche ma solide promesse. Un assegno per le coppie che faranno più di un figlio, la garanzia che non sarà innalzata l’età pensionabile che in Russia resta da welfare state d’altri tempi: 55 per le donne e 60 per gli uomini. Un contentino anche per i liberal a cui ha promesso di rivedere la legge sul diritto di manifestazione ancora oggi assai restrittiva e dipendente dagli umori delle amministrazioni locali.

In caso di elezione, per Putin sarebbe al suo 4 mandato in 18 anni e lo porrebbe a capo della Federazione russa fino al 2024. L’unico avvicendamento: la presidenza Medvedev dal 2008 al 2012, in cui Putin giocò il ruolo del premier. I bookmerkers sulla sua rielezione non apriranno neppure le scommesse. Gli sfidanti non sono in grado di impensierirlo.

Ci sarà ancora una volta il leader xenofobo Zirinvsky e il socialdemocratico Mironov. Ore di fibrillazione invece in casa comunista perché l’annunciata candidatura di Gennady Zyuganov vacilla. I sondaggi lo danno a un modestissimo 7%.

Invece sta prendendo quota la candidatura di Pavel Grudinin, scelto via web (una novità) da oltre 15.000 simpatizzanti della sinistra «movimentista» del Fronte di sinistra di Sergey Udalzov. L’unico che avrebbe potuto creare dei problemi a Putin nella Russia europea e tra i giovani, il populista Aleksey Navalny, è stato eliminato dalla competizione con discutibili motivazioni legali. Resta, nel campo liberal, l’outsider Xenya Sobchak, figlia dell’ex sindaco di San Pietroburgo di cui Putin era sottoposto. Stella dei talk-show via cavo, punta a raccogliere i voti del ceto medio europeista come paladina dei diritti delle donne.

Putin alla fine farà campagna su se stesso. L’obiettivo che il suo staff si pone è quello del «70×70», 70% dei voti con 70% di partecipazione. Un plebiscito che gli permetterebbe ancora per 6 anni di fare e disfare la politica russa.