Martedì la presidente della Corte costituzionale mette all’indice l’eccesso di litigiosità tra governo centrale e regioni, richiamando il principio di leale collaborazione. Mercoledì, ieri, governo e regioni si sfidano minacciando di farsi causa reciprocamente. Anticipato da squilli di guerra, il confronto sulla fase 2 tra il ministro degli affari regionali Boccia e i presidenti regionali è finito in rissa.

Il ministro ha avvertito: se le ordinanze regionali non saranno coerenti saranno impugnate. I presidenti hanno risposto: è il Dpcm che non va bene e va cambiato. Poco dopo una lettera dei «governatori» di centrodestra, che sono la maggioranza (dodici più mezzo Trentino Alto Adige), ha alzato il livello dello scontro con una lettera alle massime autorità dello stato: «È essenziale che si ritorni progressivamente a un più pieno rispetto dell’assetto costituzionale e del riparto di competenze tra lo stato e le regioni».

In realtà la pressione dei presidenti delle regioni, e più ancora la valanga di critiche arrivata addosso al governo dopo il Dpcm sulla fase 2 e le perplessità (eufemismo) del Pd e di Iv, hanno già prodotto una novità. «Si può pensare ad aperture diverse regione per regione in base al monitoraggio delle curve dei contagi», ha detto Boccia. Aggiungendo di cercare la «massima collaborazione» e chiedendo ai presidenti di «coordinare il lavoro dei nostri uffici». In cambio la disponibilità alla tanto ricercata differenziazione territoriale, ma rigorosamente «dopo il 18 maggio» e sulla base di ordinanze «coerenti» con il Dpcm (che pure andrà interpretato e chiarito).

Prima del 18, la terza settimana della «fase 2», e fuori dal binario della «coerenza», per il governo resta lo spazio solo per ordinanze «più restrittive». Ai presidenti di regione Boccia aggiunge un avvertimento: «Serve massima attenzione, la curva del contagio può risalire». E allora nel caso di ordinanze non coerenti, sarà inviata una lettera con la richiesta di adeguarsi. Poi una diffida. E infine arriverà l’impugnativa alla Corte costituzionale, il conflitto tra poteri dello stato.

Nell’orchestra delle regioni è il centrodestra a suonare più forte, e così è partito il contrattacco di Zaia, Fedriga, Fontana e compagnia. Raccontano di una mordacchia alle autonomie durata due mesi che adesso deve essere tolta. Secondo loro è il Dpcm a dover essere cambiato, perché «non dotato della necessaria flessibilità» per permettere alle regioni, in sicurezza s’intende, «di applicare nei loro territori regole meno stringenti».

Anche qui la minaccia è assai evidentemente. Forti del parere di «autorevoli costituzionalisti», i «governatori» sottolineano le «criticità notevoli circa la tenuta di un impianto giuridico basato su atti amministrativi». Anche perché loro, giurano nella lettera inviata a Mattarella, Conte e ai presidenti di senato e camera, sono mossi dolo dal desiderio di limitare al massimo i diritti dei cittadini: «Una compressione delle libertà costituzionali strettamente proporzionata alle esigenze».

Rivolgendosi anche al capo dello stato, sottolineano più volte come il «format» Dpcm sia sottratto al vaglio del Quirinale e del parlamento. Ma oltre a chiedere «più competenze alle regioni», i presidenti di Abruzzo, Basilicata, Calabria, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Molise, Piemonte, Sardegna, Sicilia, Umbria e Veneto ne approfittano per tornare a bomba sulle elezioni regionali, che in verità tra loro interessano solo a Zaia e a Toti.

Nella lettera insistono perché si possa votare «al più presto», cioè a luglio, al contrario di quanto prevede il decreto elezioni che è in conversione alla camera. Boccia aveva promesso che il governo ci avrebbe riflettuto. Ma è successo qualche giorno fa, prima della rissa di ieri.