Anche l’Onu aggiorna il numero delle vittime della guerra siriana: 400mila. Lo ha riferito ieri da Ginevra l’inviato de Mistura: «Ne contavamo 250mila due anni fa. Beh, due anni fa sono due anni fa». Il nuovo bilancio è stato aggiornato dopo la decisione del gennaio 2014 quando il Palazzo di Vetro smise di calcolare le vittime per l’assenza di fonti certe e la scarsa fiducia nei dati di governo e opposizioni.

Chi ha continuato a monitorare il dramma siriano è il Syrian Center for Research: a febbraio un rapporto parlava di 470mila morti in 5 anni di guerra e 1.9 milioni di feriti, l’11,5% della popolazione. Numeri che hanno fatto crollare l’aspettativa di vita (da 70 anni nel 2010 a 55 oggi) e salire alle stelle il tasso di mortalità (da 4,4 persone su mille a 10,9).

E le morti non cessano: nonostante la tregua gli scontri si sono intensificati negli ultimi giorni, mentre a Ginevra si sarebbe dovuto discutere di pace. L’Onu millanta ottimismo: de Mistura ha assicurato ieri che il negoziato non si fermerà nonostante l’Hnc, la federazione delle opposizioni, abbia deciso di andarsene. L’inviato Onu ha proposto un incontro ministeriale con i paesi coinvolti, il Gruppo Internazionale di Supporto composto da Usa, Russia, Unione Europea, Iran, Turchia e paesi del Golfo. Ovvero quegli attori che procrastinano la fine del conflitto infilandoci dentro i propri interessi.

Si è invece conclusa l’ondata di scontri tra kurdi siriani e forze pro-governative a Qamishli. La tregua è in vigore da venerdì dopo tre giorni di fuoco che hanno ucciso almeno 26 persone. Le violenze sono cominciate con l’attacco da parte delle forze pro-Damasco di checkpoint delle Asayish, forze armate kurde che hanno poi assunto il controllo di numerose postazioni governative e della prigione della città.