Altro che cessate il fuoco, altro che la «de-escalation» che avrebbe chiesto Joe Biden. Benyamin Netanyahu ieri non ha solo ribadito di essere «determinato a continuare questa operazione (l’attacco a Gaza, ndr) fino a quando il suo obiettivo sarà raggiunto», ma incontrando i rappresentanti diplomatici di 70 paesi – inclusi quelli di Usa, Ue, Russia e Cina – ha affermato che sul tavolo c’è anche la riconquista della Striscia di Gaza. Il focus è sulla «deterrenza» ha spiegato, ma ogni opzione è sul tavolo. «(I nemici) Puoi sconfiggerli e questa è sempre una possibilità aperta oppure puoi scoraggiarli» ha aggiunto «siamo impegnati in una forte deterrenza ma devo dire che non escludiamo nulla. Speriamo di poter ristabilire la quiete».

Non è noto se il premier israeliano abbia espresso questa posizione durante il colloquio telefonico, il secondo in pochi giorni, avuto con Joe Biden. Il presidente americano, moderando in apparenza il sostegno aperto che aveva dato all’offensiva israeliana contro Gaza – spinto forse dalle pressioni della sinistra di Democratici – ha detto di attendersi una «significativa de-escalation verso un cessate il fuoco». Ma Netanyahu non cede ed è evidente che ad irrigidire la sua posizione verso il cessate il fuoco – che le parti coinvolte nelle trattative avevano previsto per le prime ore di questa mattina – sono anche considerazioni politiche interne. Malgrado il lungo elenco di «obiettivi terroristici» che le forze aeree di Israele avrebbero colpito e distrutto nei passati dieci giorni, Hamas e i suoi alleati appaiono in grado di sparare razzi verso il territorio dello Stato ebraico. Lo hanno fatto anche ieri, dopo una pausa di alcune ore letta da qualcuno come un «segnale positivo» per il cessate il fuoco. In Israele non pochi pensano che l’offensiva distruttiva in corso contro Gaza non abbia raggiunto l’obiettivo dichiarato di infliggere un colpo devastante ad Hamas al punto da costringerlo ad invocare la tregua e a mettere fine al lancio di razzi. Il non riconoscimento interno del «successo militare» rischia di privare Netanyahu della forza necessaria per persuadere l’intera destra israeliana a formare un nuovo governo e a riconfermarlo primo ministro.

Minaccia a parole o intenzione vera? La possibilità che Israele lanci una offensiva di terra per riconquistare Gaza è minima, anche se a sostenerla non è solo Netanyahu ma anche il ministro Yuval Steinitz. Le perdite per l’esercito israeliano sarebbero molto elevate in una guerra all’interno delle città palestinesi con combattimenti strada per strada, casa per casa. Senza contare le reazioni internazionali all’inevitabile strage di civili palestinesi. Proprio le perdite subite durante la Seconda Intifada (2000-2005) dalle forze armate israeliane, schierate a Gaza intorno alle colonie ebraiche, spinsero nell’agosto 2005, l’allora premier israeliano Ariel Sharon a ritirare unilateralmente dalla Striscia migliaia di soldati e 8mila settler. L’impressione è che Netanyahu stia attendendo un colpo clamoroso contro il movimento islamista che gli consenta di andare al cessate il fuoco proclamandosi vincitore della partita. Questo colpo ha due nomi: Mohammed Deif, l’inafferrabile comandante delle Brigate Al Qassam, il braccio armato di Hamas, e Yahya Sinwar, il capo politico del movimento a Gaza. Israele vuole eliminare soprattutto il primo perché molto popolare tra i palestinesi per essere sfuggito più volte alla cattura o ai tentativi di eliminarlo, avvenuti pare anche negli ultimi giorni. Deif è sopravvissuto per miracolo a un primo attentato nel 2001, poi nel 2002, nel 2003, nel 2006 e nel 2014. Ad ogni attacco è rimasto ferito gravemente – ha perso un occhio ed è confinato su una sedia a rotelle – eppure è sempre sopravvissuto diventando una figura leggendaria tra i palestinesi, del livello di personaggi di spicco di Hamas uccisi da Israele come lo sceicco Ahmed Yassin e Yihya Ayash. Da 20 anni Deif non compare in pubblico e la segretezza che lo circonda accresce il suo mito sulle masse.

Ora però a morire sono i civili a Gaza, anche se Israele proclama che tra i circa 230 palestinesi uccisi negli ultimi giorni 150 sarebbero militanti armati di Hamas e Jihad. In queste ore un giovane di Gaza che studia all’università di Siena, Sharif Hamad, piange lontano da casa il fratello Raed ucciso da un raid aereo su Beit Hanoun. L’emittente Radio Palestine è a lutto per la morte, sempre in un attacco aereo, a Sheikh Radwan (Gaza city), del suo redattore e conduttore Yusef Abu Hussein. E in tutto il mondo hanno guardato il filmato messo in rete dal giornale britannico The Independent che mostra Ahmed al Mansi, 35 anni e noto youtuber, che rincuora e prova a rassicurare le due figlie Sarah e Hala di 12 e 6 anni in preda al panico, pochi secondi prima di essere ucciso da una bomba. Le immagini girate dai suoi familiari registrano 10 attacchi in appena 15 secondi. A Khan Yunis sei palestinesi sono rimasti uccisi in una incursione aerea contro l’abitazione della famiglia Al Astal in cui vivevano 40 persone.

Israele da parte sua denuncia il lancio dal 10 maggio di oltre 4mila razzi da parte di Hamas e Jihad (hanno fatto 12 morti in 10 giorni) e la vita passata tra casa e i rifugi antimissile alla quale sono costretti centinaia di migliaia israeliani che abitano nelle città del centro e del sud del paese. L’esercito israeliano afferma di aver ucciso ieri una donna palestinese, armata di un mitra M16, che avrebbe «tentato di attaccare» la colonia ebraica di Kiryat Arba (Hebron). Continuano le proteste dei palestinesi in Israele. A Umm el Fahem, in bassa Galilea, si prevedono incidenti ai funerali di un giovane della città ferito mortalmente dalla polizia nei giorni scorsi.