«L’ennesima sconfitta in un paese che non trova una sua stabilità ormai da diversi anni a causa dell’inadeguatezza del suo presidente». La recente dichiarazione sul quotidiano Vanguard da parte di Olusegun Obasanjo, anziano ex presidente nigeriano, rispecchia le tensioni sociali e l’attuale clima politico nel paese.

Dieci giorni fa il gruppo jihadista Boko Haram ha sferrato due duri colpi alla stabilità del paese e alla credibilità delle forze armate. Più di 23 i militari dispersi in un’imboscata a un convoglio militare e poco dopo una base dell’esercito attaccata e conquistata dai jihadisti a Geidam. In quel nord est del paese che, secondo il presidente Muhammadu Buhari, «è stato liberato dall’incubo del terrorismo jihadista ed è entrato in una fase di stabilizzazione post-conflitto».

A poco valgono gli arresti di questi giorni di 22 miliziani e la confessione di otto jihadisti che hanno ammesso la partecipazione al rapimento delle ragazze di Chibok (275 studentesse rapite nel 2014 di cui ancora 100 in mano jihadista).

L’elevato numero e la precisione degli attacchi di Boko Haram – il più recente tre giorni fa contro un villaggio in Ciad, 18 morti – testimoniano la costante minaccia che il gruppo continua a esercitare in tutta l’area settentrionale del paese, con sconfinamenti nel bacino del lago Ciad (Niger, Ciad e Camerun).

Secondo fonti dell’intelligence nigeriana, i numerosi attacchi rivelano una crescente tensione tra i due leader del gruppo affiliato allo Stato Islamico: da una parte lo storico leader Abubaker Shekau – forse gravemente malato – e dall’altra Abu Musab al Barnawi, in lotta continua per la supremazia nel territorio.

Numerose le critiche nei confronti di Buhari – che ad aprile ha dichiarato di volersi ricandidare alle presidenziali di febbraio 2019 – da esponenti delle opposizioni e del Peoples Democratic Party (Pdp) per la sua incapacità nel fronteggiare le emergenze.

Vincitore alle presidenziali del 2015 contro il presidente uscente Jonathan Goodluck, il musulmano Buhari aveva fatto della lotta a Boko Haram uno degli assi fondamentali del suo programma. Dopo i proclami del 2016, sulla sconfitta definitiva del gruppo, e al progressivo aumento degli attentati suicidi in un contesto economico e sociale difficile – scontri etnici tra pastori nomadi musulmani e contadini cristiani, ribasso del petrolio, crescente povertà e corruzione sempre più endemica – sono aumentate sempre di più le manifestazioni di dissenso verso Buhari.

Dall’inizio dell’anno un numero sempre maggiore di esponenti politici di peso, primo fra tutti l’anziano Obasanjo, gli hanno chiesto «di ritirarsi dalla scena politica» al termine del suo «fallimentare mandato presidenziale».

Il Pdp in questi mesi ha creato una coalizione dei partiti di opposizione per estromettere l’All Progressives Congress, il partito del presidente, nel 2019. Circa 33 altri partiti politici, inclusa la fazione separatista del partito al governo, Riformato-Apc ha accettato di formare la Coalizione dei partiti politici uniti (Cupp) per spodestare Buhari l’anno prossimo. Le parti hanno anche firmato un accordo per presentare un candidato presidenziale comune alle elezioni del 2019.

«La situazione in Nigeria diventa sempre più esplosiva – ha dichiarato alla Bbc l’attivista Ndi Kato – e purtroppo sembra che non ci sia alcuna volontà politica di mettere fine ai massacri nel paese». Violenze che in dieci anni di terrorismo jihadista hanno causato la morte di 20mila persone e l’esodo forzato di oltre 2,6 milioni di profughi.