Inaspettatamente c’è qualcosa che accomuna il Veneto del leghista Luca Zaia e il Piemonte del democratico Sergio Chiamparino: sono le uniche due regioni che rispetto alla chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari non hanno mostrato grande interesse e impegno. I compiti a casa – presentati domenica scorsa, 15 marzo, termine ultimo per le regioni per presentare i piani di attuazione della riforma per il superamento degli Opg e per trasmettere l’elenco delle Rems (Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza sanitaria) – sono stati completamente insufficienti. E per questo «rischiano il commissariamento», spiega il sottosegretario alla Salute Vito De Filippo (Pd) che presiede l’Organismo di coordinamento che «con 12 riunioni bisettimanali» ha messo a punto il percorso e che contiuerà a seguire tutto l’iter di dismissione dei vecchi manicomi criminali.

L’Italia è pronta a chiudere definitivamente quella che il Guardasigilli Orlando ha definito «una pagina triste»?

Secondo la mappa che abbiamo dovuto trasmettere al Ministero di Giustizia, gran parte delle Regioni saranno pronte dal 1° aprile: Valle d’Aosta, Lombardia, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Campania, Basilicata, Sicilia e Sardegna, e la Provincia Autonoma di Bolzano. Poi c’è il caso di Abruzzo e Molise dove la struttura congiuntamente individuata sarebbe pronta ma il comune ospitante ha impugnato la delibera e si è in attesa del pronuciamento del Tar che potrebbe arrivare entro la fine del mese. I casi molto a rischio sono due: il Veneto e in parte il Piemonte. Le altre regioni e la Provincia di Trento hanno individuato soluzioni transitorie che hanno bisogno però di tempi di attivazione più lunghi e dunque saranno pronte entro l’autunno. Solo in due o tre casi, poi, si è dovuto far ricorso al privato accreditato, ma solo in forma transitoria. Insomma, mediamente mi sembra che il Paese abbia colto in maniera puntale non solo quanto prescritto dalla legge 81/2014 ma anche l’ampio dibattito che c’è stato riguardo al superamento di questi luoghi che si presentano come luoghi arresi.

Perché «arresi»?

Li definisco così perché sono stati luoghi finalizzati solo all’espiazione delle pene. Oggi la legge stabilisce che nelle Rems i malati siano sottoposti a importanti attività riabilitative e terapeutiche e che debbano scontare la misura di sicurezza per un tempo che non può superare la pena edittale, come qualsiasi altro cittadino. Basta con gli «ergastoli bianchi», non ci può essere un sistema carcerario diverso per le persone con malattie psichiche.

La legge prevede il commissariamento delle Regioni che non hanno rispetto i tempi. Procederete in questo senso, almeno con le due regioni che non hanno approntato alcun piano?

Avendo deciso che non ci sarà alcuna proroga, possiamo tollerare qualche settimana di ritardo ma il governo indubbiamente utilizzerà lo strumento del commissariamento nel caso si protraesse il fermo totale.
Come avverrà il trasferimento dei circa 450 internati che dovrebbero rimanere negli Opg alla fine di marzo?
Con molto tatto, non sarà certo un trasferimento di massa. Stiamo parlando di persone mosse da angosce, paure e inquitudini, dunque da manovrare con molta delicatezza. Dal 1° aprile comincerà questo processo con un cronoprogramma costruito con la magistratura, i Dipartimenti di salute mentale e i servizi sociali. Sanzioneremo le regioni che non cominceranno.

Il superamento degli Opg passa però soprattutto per un nuovo protagonismo dei Dsm ma anche delle comunità territoriali. C’è stata una riorganizzazione, un potenziamento dei Dsm? E come sta reagendo il territorio che dovrà reincludere i malati dimissibili?

Devo dire che le regioni hanno già risposto con sollecitudine alla prima scadenza che era quella di valutare quanti internati fossero dimissibili, e predisporre per loro un piano terapeutico e riabilitativo. Mi sembra, per quello che stiamo monitorando, che il ritorno di queste persone nelle regioni e nei territori sarà un ritorno consapevole e ben organizzato. Ma nel provvedimento sugli Opg abbiamo messo ulteriori risorse finanziarie per consentire a questi servizi di essere adeguati ai bisogni nuovi. Ora si tratta di andare avanti e chiudere finalmente, entro il 2015, una pagina imbarazzante per l’Italia.