Un’indagine del Guardian ha portato alla luce la trama di un misterioso gruppo israeliano, che ha usato le ventuno pagine di estrema destra più popolari di Facebook per influenzare la politica in senso islamofobico in quattro continenti.

Gli obiettivi includevano le deputate democratiche musulmane statunitensi Ilhan Omar e Rashida Tlaib. Il gruppo ha postato oltre mille notizie false a settimana che hanno raggiunto oltre un milione di follower. Nello specifico Omar appare come l’obiettivo principale, menzionata in oltre 1.400 post, mentre Tlaib è lo è stata «soltanto». 1200 volte.

Un’analisi del centro di ricerca sui media digitali della Queensland University of Technology ha indicato che ci fosse un’unica entità a coordinare la pubblicazione dei contenuti attraverso le pagine di Facebook. Usando i servizi di archiviazione web e le informazioni del registro del dominio, il Guardian è stato in grado di confermare che questa figura chiave è un venditore di gioielli trentenne e operatore online che vive nella periferia di Tel Aviv, il quale nega ogni coinvolgimento.

Quando il quotidiano britannico ha notificato a Facebook i risultati dell’indagine, la società di Zuckerberg ha rimosso diverse pagine e account, non perché diffondessero disinformazione, ma perché il contenuto «sembrava essere motivato finanziariamente» visto che il numero di follower veniva usato per pubblicità a pagamento.

Omar è il primo membro della Camera dei Rappresentanti Usa a indossare l’hijab e anche per questo è stata oggetto di centinaia di minacce di morte. A settembre il presidente Trump aveva ritwittato un post dove si affermava, falsamente, che la deputata avesse partecipato a dei festeggiamenti per l’anniversario degli attacchi terroristici dell’11 settembre. In quell’occasione Omar aveva dichiarato che le bugie del presidente stavano mettendo a repentaglio la sua vita.

Riguardo la vicenda di Facebook, Ilhan Omar ha dichiarato al Guardian: «Come emerge chiaramente da questo rapporto, l’interferenza straniera, sia da parte di singoli individui che di governi, è ancora una grave minaccia per la nostra democrazia. Questi sono attori che operano in un paese straniero, Israele, diffondendo disinformazione e discorsi di odio per influenzare le elezioni negli Stati uniti. Mettono a rischio le vite dei musulmani qui e nel mondo e minano l’impegno del nostro Paese per il pluralismo».

Trump non ha speso nessuna parola su questa vicenda, molto più impegnato a screditare le indagini sul suo impeachment che riguarda proprio il tentativo di The Donald di convincere un Paese straniero a intervenire nelle elezioni Usa 2020.

A questo proposito la Casa bianca ha dichiarato che non costruirà la difesa di Trump né parteciperà in alcun modo alla procedura di impeachment in programma alla Camera. In una lettera senza sfumature il consulente della Casa bianca, Pat Cipollone, ha scritto che i Democratici hanno già «fatto perdere abbastanza tempo all’America con questa farsa».

Cipollone ha invitato i Democratici a interrompere questo processo, oppure a chiuderlo rapidamente in modo da procedere all’udienza che si terrà al Senato, dove la partecipazione di Trump è probabile.

La posizione di questa amministrazione è in netta controtendenza rispetto ai passati impeachment. Sia gli avvocati di Richard Nixon che di Bill Clinton avevano partecipato alle indagini e avevano anche presentato lunghe oratorie di difesa davanti alla Commissione Giustizia.

Nel caso di Trump il rifiuto a comportarsi in modo analogo è abbastanza sorprendente, considerato che lui e i suoi alleati si sono lamentati per mesi di essere trattati ingiustamente e di aver diritto a una rappresentanza legale nell’inchiesta. Ora, invece, rifiutano proprio la possibilità che continuavano a chiedere.