Fabbrica di componentistica auto GM&S Industry, situata a La Souterraine, 283 dipendenti (età media 49 anni), secondo datore di lavoro privato del dipartimento della Creuse, nel centro della Francia. Tra 12 giorni la fabbrica, che da dicembre è sotto amministrazione giudiziaria, potrebbe chiudere definitivamente se non verrà trovato un acquirente. Ieri, gli operai hanno occupato il sito, del materiale è stato distrutto, danneggiata una pressa e la Cgt afferma che ci sono dei bidoni di benzina e delle bombole a gas, sotto l’edificio, pronte a esplodere. «Ci dispiace di essere arrivati a questo punto – spiega Vincent Labrousse della Cgt – ma oggi la minaccia è quella di una liquidazione pura e semplice, se sarà così la fabbrica non sarà restituita intatta, rifiutiamo di essere presi in giro».

GLI OPERAI si rivolgono alle due case automobilistiche francesi, Psa e Renault, clienti della GM&S, che hanno ridotto le ordinazioni per servirsi altrove a minori costi portando l’impresa sull’orlo del fallimento. Il 19 aprile scorso c’è stata una manifestazione sugli Champs-Elysées, di fronte alle vetrine di Psa e di Renault. Dei siti di produzione di entrambe le marche sono stati bloccati, per protesta. Gli operai chiedono che Psa e Renault si impegnino a mantenere un volume sufficiente di ordinazioni, per permettere al sito di sopravvivere. Gli operai si sono rivolti anche al nuovo presidente, Emmanuel Macron, che assumerà ufficialmente la carica domenica prossima.
L’episodio drammatico de La Souterraine, con la minaccia di far esplodere tutto, è un nuovo esempio della disperazione causata dalla deindustrializzazione.

NON SI PUÒ FARE NULLA per invertire questo declino? È la stessa domanda che hanno rivolto a Macron i lavoratori della Whirlpool di Amiens, la cui produzione deve essere trasferita in Polonia, in un drammatico faccia a faccia prima del ballottaggio, dopo che Marine Le Pen si era recata di sorpresa sul sito promettendo facili soluzioni, chiusura delle frontiere e tasse sull’import. Di fronte alla minaccia di una Loi Travail bis, che potrebbe passare in velocità quest’estate, ieri è stata lanciata una nuova petizione. La prima aveva raccolto 1,5 milioni di firme ed era stata il punto di partenza delle numerose manifestazioni contro la legge El Khomri.

MA QUALCOSA sembra muoversi, almeno a livello teorico. La Commissione europea, dopo vent’anni di sordità, sembra cominciare a capire che la mondializzazione verrà sempre più rifiutata dai cittadini colpiti dalle delocalizzazioni e dalla perdita di posti di lavoro se non verrà corretta con una più giusta redistribuzione dei profitti. È il contenuto del rapporto sulla mondializzazione, presentato a Bruxelles. «I benefici della mondializzazione devono essere condivisi più giustamente» afferma il commissario Jyrki Katanien, ordo-liberista spinto. La presa di coscienza a Bruxelles è venuta in seguito al braccio di ferro con la Cina sull’acciaio. «Se continuiamo a non prendere misure attive, la mondializzazione rischia di esacerbare l’effetto delle evoluzioni tecnologiche e della crisi economica recente e di contribuire ad ampliare ancora le ineguaglianze e a esacerbare la polarizzazione sociale», è scritto nel documento. La Commissione sottolinea però, contro le semplificazioni dei populisti, che «il protezionismo non protegge», ha affermato il vice-presidente Frans Timmermans, «invece, l’isolazionismo isola e chi resta isolato resta indietro». La Commissione ammette chiaramente che la mondializzazione non è andata a vantaggio di tutti: «nel corso degli ultimi dieci anni, i redditi reali delle famiglie della classe media nella Ue e in altre economie avanzate hanno globalmente stagnato, anche quando l’economia progrediva nel suo insieme». Migliaia di posti di lavori sono stati distrutti, il precariato si è generalizzato, mentre oggi il 27% della ricchezza è concentrato nella mani dell’1% dei cittadini Ue. Nel 2006, la Commissione aveva varato un Fondo europeo di aggiustamento alla mondializzazione, per attenuare l’asimmetria degli effetti: ma è stata stanziata la cifra ridicola di soli 150 milioni di euro per far fronte agli effetti devastatori delle delocalizzazioni e delle chiusure di fabbriche.