È stata quella di ieri in Bielorussia la giornata della working class. La classe operaia – quella classica delle tute blu e dei caschetti gialli – è scesa in campo con tutta la sua forza a fianco dell’opposizione che ormai da cinque giorni protesta contro le frodi elettorali di cui il governo si sarebbe macchiato domenica scorsa.

DI PRIMA MATTINA gli operai della Belaza di Minsk, che produce automobili, si ritrovano per una breve assemblea. Decidono di entrare in sciopero sulla base di una piattaforma dirompente: via gli uomini delle squadre speciali dalle strade e basta con la repressione, nuove elezioni e richiesta alle autorità di poter usufruire dello stadio della capitale per un meeting di massa.

Nessuno degli operai crede che il governo verrà incontro alle rivendicazioni, ma il dado è tratto. Assemblea e sciopero anche alla Maza, fabbrica automobilistica. Qui si presenta un dirigente a parlare con i lavoratori. Che chiedono che si prodighi perché finiscano le violenze della polizia.

I lavoratori mostrano i muscoli: moltissime sono le aziende del paese in sciopero, pronte a mettere la parola fine a un regime che dura da 26 anni. In sciopero la Keramina (qui si uniscono anche i dirigenti), la Mapida, la Bermedpreparatov e tantissime altre. Alla Grodnozilstroya durante l’assemblea il leader sindacale chiede: «Siamo qui tra noi operai e ce lo possiamo dire: chi ha votato per Lukashenko?». Si alzano 4-5 mani. «E chi per Tikhanovskaya?». Ed è un boato. «Ecco perché ci devono essere nuove elezioni pulite», conclude.

PROPRIO DURANTE l’assemblea arriva la notizia che buona parte dei giornalisti della tv di stato hanno deciso di licenziarsi: «Eravamo stanchi di raccontare notizie che sappiamo non vere», si legge nel comunicato diffuso alla stampa. In tutti gli ospedali alla fine del turno medici e paramedici si ritrovano in strada per discutere e unirsi ai vari cortei che tagliano le città e alle catene umane.

I LAVORATORI di una delle più grandi società edili del paese, la Mapid, hanno deciso anch’essi di non lavorare più. «Vogliamo che il nostro voto conti», dice un operaio uscendo da un cantiere. A Grodno al cambio di turno alla Azota 2.500 operai escono dalla fabbrica e si uniscono a un corteo di donne raggiungendo il centro cittadino dove si forma un presidio permanente, La gente, senza più paura, si riprende le strade in tutte le città. Oggi gli omon sono rimasti nelle caserme mentre nei quartieri si vive un momento di tranquillità.

Molti poliziotti si avvicinano ai dimostranti e dichiarano che non useranno più la forza contro di loro. La sensazione è che qualcosa si sta incrinando negli apparati repressivi dello Stato, anche se è troppo presto per trarre conclusioni.

Giunge anche la tragica notizia della morte di Alexander Taraykovsky, un dimostrante di 34 anni. Secondo la polizia, sarebbe stato investito dal fuoco dell’ordigno che stava preparando. «Sì, era sconvolto da quello che stava succedendo nel paese, era indignato, ma non crediamo che sia proprio andata così», dicono i parenti.

E proprio mentre il popolo bielorusso cerca di uscire da un caos le cui principali responsabilità ricadono sul comportamento squadristico dei reparti anti-sommossa, la crisi slava si ingarbuglia anche dal punto di vista diplomatico.

PARTICOLARMENTE DURA la dichiarazione di Marya Zacharova, portavoce del ministero degli esteri russo, che suona come un endorsement a favore della presidenza Lukashenko: «Siamo preoccupati per le informazioni che giungono sulle violazioni dell’ordine pubblico in un certo numero di città bielorusse». Secondo Zacharova, sarebbe in corso «una pressione senza precedenti esercitata da alcuni Stati stranieri sulle autorità bielorusse. Ci sono evidenti tentativi di interferenza esterna negli affari di uno Stato sovrano con l’obiettivo di destabilizzare la situazione».

Una presa di posizione a cui fa da contraltare il comunicato emesso da Heiko Maas, il ministro degli esteri tedesco: «La Ue deve aumentare le pressioni sulle autorità bielorusse» ricorrendo anche a nuove sanzioni.