I  940 operai casertani della Indesit si sono riversati ieri mattina fuori dai cancelli per bloccare la strada statale 17 bis che collega Capua a Teverola e la statale Appia che porta ad Aversa. Quattro ore di sciopero bissate oggi. La produzione di lavatrici, frigoriferi e piani cottura si è fermata per protestare contro il piano dell’azienda presentato martedì al ministero dello Sviluppo economico: 70 milioni di euro di investimenti in Italia, l’efficientamento e snellimento delle direzioni centrali e la razionalizzazione dell’assetto produttivo i punti principali che, però, nei fatti si traducono in una vera e propria fuga dal paese.

L’area campana è la più penalizzata. Secondo il management da qui al 2015 si prevede una cura dimagrante di 1.425 unità su 4.300 addetti: verrebbero tagliati 25 dirigenti e 150 colletti bianchi; 480 operai a Fabriano, 230 a Comunanza, 540 in Terra di lavoro.

L’idea della Indesit Spa, multinazionale italiana degli elettrodomestici della famiglia Merloni (11mila dipendenti all’estero divisi in otto impianti produttivi in Polonia, Regno Unito, Russia e Turchia, quarto gruppo del continente per fatturato, pari a 2.88 miliardi nel 2012), è di spostare in Polonia e Turchia la produzione di fascia bassa e tenere qui lo sviluppo e il segmento di lusso. Rafforzare la presenza nei due paesi dovrebbero agevolare l’espansione verso l’est Europa, il Medioriente e il Nord Africa. «Spostando la maggior parte della produzione all’estero – spiega Vincenzo Sglavo, della Fiom di Caserta – al prossimo piano aziendale sarà facile cancellarle del tutto, le fabbriche della penisola. Si tratta del secondo settore produttivo in Italia dopo l’auto, ci sono già altre vertenze aperte con la Elettrolux e la Whirlpool, tocca al governo decidere se vuole o meno fermare l’emorragia delle delocalizzazioni che ci sta uccidendo».

Il piano aziendale era del tutto inatteso. Nei due stabilimenti, uno accanto all’altro, di Carinaro e Teverola si lavora su due turni cinque giorni a settimana, ma se ci sono dei picchi produttivi arriva anche il terzo turno: «Ci hanno fatto faticare di sabato, di domenica, hanno accorciato le ferie estive per produrre e incamerare guadagni», raccontavano ieri pomeriggio gli operai in assemblea. «Si fa un po’ di cassa integrazione ordinaria – prosegue Sglavo – A giugno erano previsti otto giorni ma poi li avevano ridotti a due. Fino alla settimana scorsa le riunioni con il management riguardavano argomenti come produttività ed efficienza. La crisi generale certo ha avuto un impatto sulle vendite, con un calo in Europa del 10% e in Italia del 25, ma le prospettive generali non sono drammatiche. Si tratta piuttosto di una scelta strategica mascherata con la retorica della crisi».

A rischio sono anche i posti di lavoro nell’indotto, quasi 500 solo nel casertano: «Ad esempio – conclude Sglavo – un centinaio solo nell’impresa che produce cestelli delle lavatrici, proprio accanto allo stabilimento di Carinaro. Poi ci sono altri 40 lavoratori che fanno i contrappesi in cemento per non far vibrare la lavabiancheria, tutti componenti che non possono essere importati dall’estero mentre i motori già arrivano dalla Polonia e dalla Cina».

Anche il precedente piano aziendale dell’Indesit, presentato nel 2010, prometteva investimenti (120 milioni) per ottenere la chiusura dello stabilimento di Brembate con la migrazione della produzione di lavabiancheria a Carinaro. Con il nuovo assetto, dei sette impianti presenti in Italia fino al 2010 ne resterebbero tre: Teverola per i piani cottura e frigoriferi, Fabriano per i forni da incasso, Comunanza per le lavatrici a carica frontale.

Il piano è stato respinto in blocco da Fim, Fiom e Uilm, domani in Campania ci dovrebbe essere un incontro con i parlamentari eletti in regione e gli amministratori locali, ma la vertenza naturalmente si gioca soprattutto sul tavolo nazionale: fioccano le richieste al ministro dello Sviluppo Economico, Flavio Zanonato, di istituire un tavolo tecnico urgente per affrontare la questione Indesit. Terra di lavoro una volta era nota come la Brianza del sud per l’elettronica, oggi è un paesaggio desolato. Accanto ai 540, che raddoppiano con l’indotto, della Indesit ci sono, ad esempio, gli 850 lavoratori della ex Siemens-Nokia per strada e i 500 della Firema, che producevano treni ad alta velocità.