Alcuni poliziotti circondano un ragazzo, lo aggrediscono con il manganello: «bastardo, dovrei ucciderti», gli urlano. «Uccidetelo», gridano altri poliziotti, che accorrono e concorrono al pestaggio. Sono scene tratte da un video messo on line da un’ organizzazione non governativa cambogiana, che raccontano gli attimi delle cariche e dei pestaggi contro i lavoratori di una fabbrica di abbigliamento che produce per marchi stranieri, in protesta dallo scorso agosto. Due giorni fa però, a Phnom Penh lo sciopero dei lavoratori si è trasformato in scontro aperto contro le forze dell’ordine. Il risultato è un morto, una donna di 49 anni, uccisa per strada, dove aveva un piccolo banchetto per vendere il riso, centinaia di feriti, trentasette arresti e la polizia cambogiana nell’occhio del ciclone per la violenta repressione compiuta.
Secondo quanto raccontato dagli attivisti della Ong cambogiana per i diritti umani Lichado, tutto sarebbe cominciato quando i manifestanti si erano decisi a marciare verso la casa del primo ministro Hun Sen. Dopo le cariche della polizia, la folla – composta da lavoratori, passanti e anche monaci – si sarebbe dispersa e avrebbe cercato di proteggersi all’interno di una pagoda. «Sparando gas lacrimogeni e proiettili di gomma, gli agenti di polizia si sono precipitati contro di loro. Le persone hanno lanciato pietre contro gli agenti, che hanno ribattuto; i poliziotti allora hanno cominciato a usare le proprie munizioni, gli AK-47 e le pistole». La reazione della polizia è stata violenta, a seguito di uno sciopero per chiedere aumenti salariali. Una situazione sociale e lavorativa in cui le proteste sono all’ordine del giorno: ieri un’altra fabbrica ha bloccato la produzione, con oltre trecento persone, tutte giovani, molte donne, che hanno occupato le strade della capitale.
La richiesta è sempre la stessa: aumenti degli stipendi (che in media sono di 90 dollari al mese). Negli anni scorsi il governo cambogiano aveva innalzato il salario minimo da 50 a 61 dollari, a fronte di una richiesta dei sindacati di un aumento che fosse compreso tra i 20 e i 43 dollari. Alla notizia dell’aumento di soli 11 dollari, numerosi furono gli scioperi che stanno caratterizzando anche l’attuale momento sociale cambogiano. L’industria tessile del resto rappresenta da sola l’85 percento dell’export nazionale ed è la terza fonte di entrata del paese, dopo il turismo e l’agricoltura. La forza lavoro dell’industria tessile si stima possa essere di oltre 600 milioni di impiegati, in maggioranza donne: secondo uno studio condotto dalla Garment Manifacturers Association of Cambodia del 2008, le proprietà straniere delle fabbriche nazionali, sarebbero per lo più cinesi, taiwanesi e di Hong Kong. Il valore della merce spedita nei mercati americani ed europei dalle fabbriche cambogiane, supera ogni anno gli oltre 4 miliardi di dollari.
Il caso della protesta della SL Garment Processing Ltd, la fabbrica con proprietari di Singapore al centro della repressione della polizia, coinvolge anche brand stranieri; H&M, Zara e Gap Inc, avrebbero già diminuito gli ordini a seguito delle contestazioni. Secondo la Reuters, invece, la Levi Strauss & Co. avrebbe terminato da mesi l’acquisto dei capi d’abbigliamento prodotti in quella fabbrica.
Non solo salari, perché in Cambogia naturalmente – come ogni paese che produce a basso costo – anche le condizioni di lavoro e la sicurezza costituiscono due punti dolenti: lo scorso maggio il tetto di una fabbrica specializzata nella produzione di scarpe, era crollato, uccidendo due persone e ferendone sette. La Cambogia è uno dei paesi asiatici che sta crescendo di più, al 7,2 percento nel 2012 secondo l’Asian Development Bank; una progressione trainata non solo dalla produzione a basso costo, ma anche da investimenti stranieri, aumentanti del 75 percento. Soldi investiti nella produzione tessile, ma anche in quella agricola. Il basso costo del lavoro e la vicinanza della Cambogia a mercati chiave come quello cinese – secondo gli analisti internazionali – sarebbero attrazioni fondamentali per gli investitori stranieri. Ci sono però preoccupazioni generali rispetto alla condizione della popolazione cambogiana: secondo la Banca Mondiale, il reddito pro capite nel 2012 è stato di 946 dollari e le carenze per quanto riguarda la sanità costerebbero alla Cambogia 146 milion di dollari all’anno.