C’è forte preoccupazione tra i lavoratori di Vado ligure dopo la chiusura dei due gruppi a carbone di Tirreno Power decisa la scorsa settimana dal gip di Savona Fiorenza Giorgi. Un sequestro preventivo motivato dal mancato rispetto di alcuni limiti imposti dall’Aia. Secondo gli inquirenti, la centrale a carbone avrebbe causato decine di morti sospette tra il 2000 e il 2007.

Tirreno Power è uno dei principali produttori di energia elettrica in Italia con le centrali termoelettriche di Torrevaldaliga Sud, Vado Ligure e Napoli e 17 centrali idroelettriche distribuite su tutto l’arco dell’Appennino ligure. L’azienda è di proprietà per il 50% dei francesi di Gdf Suez e per il restante 50% del gruppo Energia Italia (il cui 78% è nelle mani di Sorgenia).

L’impianto savonese è costituito da due unità a carbone e una a gas. Circa 200 i dipendenti diretti e 250 quelli dell’indotto oltre a una novantina di lavoratori del Terminal Rinfuse al porto di Vado. E sono proprio i lavoratori dell’indotto a tremare per primi perché, se per i dipendenti diretti l’azienda potrà garantire la cassa integrazione per gli altri la situazione è più delicata. Da ieri per molti è arrivato lo stop: ferie forzate, per ora, ma la tensione, è alta.

Così un lungo corteo unitario è sfilato dalla centrale fino al Comune di Vado: «Aspettiamo il prossimo incontro in prefettura del 25 marzo, sperando che ci siano esiti positivi, altrimenti dal mese di aprile saranno guai», dice il segretario provinciale della Cgil Fulvia Veirana. «Servono strumenti uguali per tutti i lavoratori che diano garanzie fino a che la centrale sarà spenta. Serve poi conoscere le vere prospettive per una riapertura rapida dei gruppi vincolando l’azienda a compiere gli interventi necessari sul fronte dell’ambientalizzazione».

Nel primo pomeriggio uno spiraglio sembra essersi aperto con la notizia che l’azienda potrebbe accettare le indicazioni del Tribunale sulla gestione della centrale. La notizia arriva direttamente da un nota ufficiale di Tirreno Power dopo che il suo pool di avvocati (coordinato dall’ex ministro della Giustizia Paola Severino) ha incontrato il gip: «L’incontro di oggi ha posto le basi per un dialogo che proseguirà nei prossimi giorni, volto a individuare le modalità più opportune per arrivare quanto prima alla ripresa di esercizio nell’ambito di un protocollo operativo che sottopone l’impianto a verifiche da parte di tecnici individuati dal giudice».

Una dichiarazione che, tra le righe, sembra presupporre l’accettazione delle «condizioni» imposte dal giudice in cambio del dissequestro. L’azienda insomma sarebbe pronta a seguire tutte le indicazioni del tribunale, a partire dall’installazione di un sistema di monitoraggio emissioni tarato da un perito del giudice, per far ripartire la centrale.

«Vogliamo interpretare in senso positivo questa nota – dice il segretario della Filctem di Savona Tino Amatiello – perché questo a breve termine risolverebbe la situazione, ma il caso Tirreno Power non deve restare una questione savonese. L’Italia deve dotarsi di un piano energetico nazionale. Serve energia a basso costo per le industrie, sennò le industrie se ne vanno. Certamente gli impianti devono fornire garanzie di sicurezza, ma il Paese deve avere il coraggio di decidere come e quanta energia produrre».