La denuncia di tre immigrati africani alla locale Camera del lavoro, e di qui alla magistratura requirente, ha acceso i riflettori sull’ennesimo caso di sfruttamento e di violenze in una delle miriadi di aziende terziste del comprensorio pratese, in questo caso una pelletteria di Poggio a Caiano. I tre operai si erano rivolti alla Cgil lamentando le degradanti, indegne condizioni di lavoro all’interno della ditta, intestata a una prestanome ma di fatto gestita da una coppa di coniugi di origine cinese, inquadrati ufficialmente come dipendenti.
Le indagini dei finanzieri del Nucleo economico-finanziario hanno portato all’arresto della moglie, finita ai domiciliari, mentre il marito è al momento irreperibile e secondo e ultime notizie si troverebbe in Cina. Soprattutto gli investigatori hanno denunciato anche due imprenditori italiani, amministratori a loro volta di una società del settore che, per far fronte a contratti di fornitura stipulati dalla loro azienda con una nota griffe della moda, subcommissionavano alla pelletteria di Poggio a Caiano la realizzazione di borse e accessori, utilizzando così anche loro la manodopera sfruttata.
Quanto alle condizioni di vita e di lavoro all’interno dell’azienda, i risultati delle indagini sono eloquenti: le accuse delle Fiamme gialle parlano di turni massacranti, fino addirittura a 15 ore al giorno, per sei giorni alla settimana. Di schiaffi e cinghiate che la donna cinese era solita affibbiare alla ventina di lavoratori, in particolare a uno degli operai africani, come punizione per la non perfetta esecuzione delle mansioni loro affidate nelle pieghe della lavorazione delle pelli. Insomma di un clima di terrore generalizzato ai danni delle maestranze, tutti extracomunitari in prevalenza di origine cinese e africana.
In cambio c’erano pagamenti, naturalmente al nero, non superiori agli 800 euro, senza quindi alcuna garanzia sul piano delle tutele sindacali e in tema di malattia, riposi settimanali, tredicesima e ferie. Una parte dei lavoratori aveva inoltre un posto letto in un dormitorio sovraffollato, in pessimo stato igienico e sanitario, adiacente all’azienda. Non poteva infine mancare l’utilizzo di macchinari non conformi alla normativa sulla sicurezza, e pericolosi per l’incolumità fisica dei lavoratori.
I due coniugi-kapò avevano operato precedentemente, in una sorta di continuità aziendale, attraverso altre imprese dislocate nello stesso immobile, ognuna subentrata all’altra con nuova denominazione e partita Iva, con l’obiettivo di evitare il più possibile i controlli, e non pagare né le tasse né i debiti maturati con l’erario.
Di qui il provvedimento di sequestro preventivo, anch’esso firmato dal giudice delle indagini preliminari, di oltre 900mila euro, considerati il frutto di una reiterata evasione fiscale, Al momento i finanzieri hanno messo le mani su alcuni beni riconducibili alla coppia di coniugi, tra i quali una villa e un terreno, oltre che a denaro contante. Sequestrati naturalmente anche i macchinari da lavoro.
Sono infine stati denunciati a piede libero i due imprenditori italiani e la prestanome della pelletteria, formale titolare dell’impresa. Dalle indagini è emerso infatti, secondo i finanzieri, che gli amministratori dell’azienda italiana erano perfettamente consapevoli – al pari dei gestori di fatto e di diritto della ditta a conduzione cinese – dello sfruttamento cui i lavoratori venivano sottoposti. Nel presentare i risultati dell’operazione, gli uomini delle Fiamme gialle di Prato hanno voluto sottolineare la collaborazione fornita, nella fase finale delle indagini, dalle unità pratesi di Asl, Inps e Ispettorato del lavoro, segnalando che per contrastare simili fenomeni di malaffare, che restano molto diffusi nel distretto industriale del tessile e della pelletteria, c’è bisogno di tutte le diverse competenze dei vari organi ispettivi.