Una dura protesta, i picchetti, uomini incatenati ai cancelli e feste natalizie passate da quattrocento uomini e donne in un gelido spiazzo di fronte alla fabbrica. Era la fine del 2017 e la crisi Embraco esplodeva dopo lunga incubazione. Poi giunse la soluzione, creata dal ministro del lavoro Carlo Calenda, che davanti ai cancelli della fabbrica annunciava l’esito positivo: «Sono state presentate ai sindacati le due società che faranno l’investimento nell’ex Embraco, riprendendo tutti i lavoratori con gli stessi diritti e le stesse retribuzioni senza nessun supporto di denaro pubblico», sottolineava il ministro.
Ieri quattrocento lavoratori ex Embraco, oggi di proprietà della Ventures, sono scesi in strada per l’ennesima volta, furibondi, per manifestare la loro rabbia verso un piano industriale che li ha lasciati a casa o quasi. Il corteo, che ha bloccato il traffico nella zona nord i Torino, ha ribadito la domanda pressante affinché le istituzioni escano allo scoperto e affrontino definitivamente il dramma che stanno vivendo. Nessun momento di tensione si è registrato e anzi i lavoratori hanno raccolto la solidarietà di passanti e automobilisti.
Vagamente stanchi delle dichiarazioni e degli incontri che si susseguono, lavoratori e famiglie della Embraco di Chieri domandano una trattativa reale con la proprietà nonché con il governo.
Questa la richiesta dei lavoratori: «Esigiamo che le istituzioni e la Whirlpool mettano in atto tutte le soluzioni possibili per salvaguardare il posto di lavoro di oltre 400 persone, questa volta in modo concreto e serio».
Solo due giorni fa si è saputo che la procura di Torino ha aperto un fascicolo sulla crisi Embraco, a seguito di un esposto firmato da 108 lavoratori. L’indagine, coordinata dal procuratore aggiunto Marco Gianoglio a capo del pool che indaga sui reati economici, è alle battute iniziali: non esistono ipotesi di reato né vi sono soggetti iscritti nel registro degli indagati.
I lavoratori chiedono, da tempo, al Mise il coinvolgimento di Invitalia affinché vengano individuati investitori che acquistino la ex Embraco. Si tratta del famoso «piano B», più volte ipotizzato ma mai concretizzatosi. Un piano definitivo, volto a rilanciare la produzione. Operazione da sviluppare in tempi rapidi perché la cassa integrazione terminerà a luglio e gli attuali proprietari hanno da tempo manifestato l’intenzione di non proseguire l’attività produttiva.
La richiesta si basa anche sulle parole che il ministro Calenda disse: «Invitalia rimane con il fondo anti-delocalizzazione attivato nel caso in cui ci dovessero essere dei problemi che speriamo non succedono. In caso di problemi potrà aprire il paracadute». Parole che i lavoratori ricordano bene. I problemi ci sono stati, ora in molti aspettano l’apertura del paracadute: in molti sperano che se non dovessero giungere investitori la situazione possa essere salvata dalla presa in carico di tutti i lavoratori da parte di Invitalia, e quindi dallo Stato.
L’intervento pubblico è dibattuto anche dai vertici della Regione Piemonte, che nei giorni scorsi hanno avanzato l’ipotesi di investimenti azionari nelle crisi industriali più gravi.
La crisi industriale non colpisce solo la Ex Embraco: a Brandizzo, pochi chilometri ad est di Torino, la Martor sta vivendo giorni di lotta e speranza. Cento diciassette lavoratori potrebbero aver trovato una soluzione alternativa al brutale licenziamento ipotizzato nei mesi passati. Edi Lazzi segretario della Fiom di Torino e Luca Pettigiani responsabile della Martor per la Fiom di Torino dichiarano: «Siamo di fronte all’avvio concreto di una trattativa per affrontare la drammatica vicenda della Martor. I lavoratori, con grande senso di responsabilità, e consapevoli di aver cambiato le sorti della vertenza attraverso i 23 giorni di lotta, hanno deciso nell’assemblea a maggioranza di riprendere l’attività lavorativa, anche per evitare l’incombente fallimento della Martor. La Fiom è impegnata insieme ai lavoratori e alla Rsu nella trattativa che rimane per noi finalizzata ad ottenere una soluzione positiva per tutti gli attuali 117 dipendenti».
I lavoratori che rischiano nella città metropolitana di Torino sono oltre tremila.