Dopo un fermo nel porto di Barcellona durato più di due mesi, la nave di Proactiva Open Arms ha ricevuto l’autorizzazione a salpare. Il regalo pasquale contiene però una sorpresa. Nel permesso a lasciare le coste spagnole il governo ha inserito una serie di restrizioni decisive. Tra queste, il divieto di fare tappe intermedie fino alle isole greche, dove l’imbarcazione consegnerà 20 tonnellate di aiuti umanitari, ma soprattutto quello di svolgere attività di ricerca e soccorso dei migranti. Di più: nel caso dovesse raggiungere l’area Sar libica rischierebbe una multa compresa tra i 300 mila e i 900 mila euro. «Ci negano la possibilità di aiutare le centinaia di persone che fuggono da violenza e guerra in Libia – ha denunciato la ong spagnola – Non riteniamo accettabile essere costretti a negoziare sulla vita di donne, uomini e bambini. Continueremo a rispettare le convenzioni internazionali e il diritto del mare». L’Ong è nata nel 2015 mentre migliaia di profughi in fuga dalla Siria si imbarcavano per raggiungere l’Europa attraverso la rotta orientale dell’Egeo. Da allora ha salvato quasi 60mila persone. Le ultime 311 nelle acque internazionali davanti alla Libia, poche ore prima del Natale dello scorso anno. Tra loro c’erano 139 minori. Il più piccolo aveva 48 ore di vita. In quell’occasione Malta e Italia negarono un porto sicuro, così l’imbarcazione fu costretta a navigare per cinque giorni fino ad Algeciras, nello spigolo meridionale della penisola iberica.

LA DISPONIBILITÀ del governo guidato dal Psoe di Pedro Sánchez, però, è durata poco più di due settimane. Il 14 gennaio di quest’anno la capitaneria di porto di Barcellona, che dipende dal ministero dello Sviluppo, ha negato alla nave il permesso di ripartire. All’origine del blocco una tesi suggestiva: siccome i governi italiano e maltese le avrebbero di nuovo impedito l’attracco, l’Open Arms sarebbe rimasta in mare per molti giorni con un carico umano superiore alla sua capienza, infrangendo la legge. Tecnicismi, cavilli e giustificazioni surreali anteposti a un’evidenza: centinaia di persone fuggivano dalla Libia e non c’era nessuno a soccorrerle. «Dopo il nostro ultimo salvataggio il governo spagnolo si è allineato con quello che sta succedendo in Europa – afferma Veronica Alfonsi, coordinatrice della sede italiana di Open Arms – Oltre alle elezioni europee si avvicinano quelle nazionali e non vuole alimentare una discussione su un tema controverso come l’immigrazione».

SEMPRE IERI si è sbloccata anche la situazione dell’Aita Mari, un peschereccio riconvertito in nave di soccorso dalle Ong Proem-Aid e Salvamento Marítimo Humanitario e finanziato dal governo basco con 400mila euro. Anche questa imbarcazione è diretta verso le isole greche di Lesbo e Samo dove i rifugiati, intrappolati dai regolamenti europei, sopravvivono in condizioni disumane che rasentano la crisi umanitaria. Una situazione che dopo quattro anni di governo di Syriza non accenna a migliorare.

«LA DINAMICA è la stessa per i diversi governi europei. L’Italia fa più rumore, ma anche la Spagna è dentro – dice Riccardo Gatti, comandante di Open Arms – Non solo non vogliono che soccorriamo le persone, ma provano a impedirci di denunciare ciò che accade nel Mediterraneo centrale. Con un conflitto in corso e il rischio di una grande fuga dalla Libia è gravissimo. Le decisioni che stanno prendendo questi governi implicano che se le persone riusciranno a partire moriranno in mare, altrimenti scompariranno nei centri di detenzione».