«Le istituzioni scolastiche che hanno attivato sistemi di didattica a distanza sono riuscite a coinvolgere circa il 94% degli studenti». E ancora: «Lavoriamo per garantire che tutti i ragazzi abbiano una risposta». Le rassicurazioni della ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, sembrano lontanissime dalla realtà che si vive nel dedalo di vicoli di Napoli alle spalle di via Toledo.

«Sono studenti che già prima del distanziamento sociale avevano un percorso difficile, sia per le condizioni materiali in cui vivono sia per le difficoltà che hanno a reggere il contesto scolastico. Corriamo il rischio altissimo che molti di loro chiudano qui il percorso scolastico» spiega Massimiliano, che fa parte dell’associazione Quartieri spagnoli onlus. Si occupa di due attività: l’educativa territoriale che coinvolge circa 80 adolescenti della zona tra i 6 e i 17 anni e il progetto di contrasto alla dispersione scolastica.

«Molti sono stati tagliati fuori dalla didattica on line – racconta -, c’è una grande difficoltà di accesso sia alla rete che ai dispositivi. La maggior parte utilizza internet solo attraverso i giga che ha sul cellulare oppure possono utilizzare il wi-fi per alcune ore. Quasi tutti hanno solo lo smartphone. Per studiare finiscono per impegnare l’unico canale di comunicazione della famiglia».

A dare una mano ai ragazzi dei Quartieri spagnoli è intervenuta l’ong catalana Proactiva open Arms: «I valori della solidarietà, dell’accoglienza, del rispetto dei diritti umani sono al centro della nostra azione – spiegano gli attivisti -. Consideriamo prioritario il confronto con le scuole. Vogliamo fare la nostra parte così abbiamo donato dispositivi in alcune zone di Napoli e Torino ma non basta. Per questo abbiamo attivato una raccolta fondi (http://sostieni.link/24903) che ci consenta di far fronte al maggior numero di richieste possibile. La donazione dei dispositivi (che rimarranno di proprietà della scuola) verrà valutata con i docenti».

Intanto bisogna rimboccarsi le maniche: «Stiamo seguendo un gruppo di 15 ragazzi – prosegue Massimiliano – con storie difficili alle spalle. Stavano preparando l’esame di terza media da privatisti. Abbiamo attivato l’aula virtuale con la scuola ma gli ostacoli sono tanti. Rintracciarli non è facile, per riuscirci abbiamo coinvolto i servizi sociali. Farli iscrivere alla piattaforma è un problema perché non hanno mail e in ogni caso non sanno come usarle. Conoscono i social, alcuni strumenti ma non hanno alcuna padronanza dei mezzi informatici. Siamo riusciti a stabilire dei contatti sulla piattaforma, poi ci sono le comunicazioni via whatsapp con piccoli gruppi da quattro. Così lavoriamo sugli argomenti per l’esame ma è complicato».

Poi ci sono le condizioni materiali: «Le situazioni che troviamo impediscono la didattica a distanza così come la propone il ministero. Un ragazzo mi ha detto che non vuole seguire le lezioni sulla piattaforma perché vivono in cinque in un basso, la mattina il resto della famiglia dorme, se li sveglia va incontro alle reazioni degli altri e finirebbe per vergognarsi. Non è facile aprire una finestra nella vita privata delle persone quando hai a che fare con contesti difficili, che richiedono più attenzione». L’abbandono scolastico, già alto, potrebbe crescere ancora: «Open arms così come altre realtà ci stanno aiutando per cercare di dotare i ragazzi di tablet e un accesso stabile a internet. A settembre dovremo arrivare preparati per cercare di tenere insieme scuola, famiglie e alunni. Il rischio è che tanti restino tagliati fuori».