La Siria non può più produrre ne’ utilizzare armi chimiche. Questo annuncio, che certo avrà riflessi diplomatici e politici importanti, è giunto ieri dall’Opac, l’Organizzazione per la proibizione di armi chimiche. Nelle stesse ore però è giunto anche l’ultimo bilancio non ufficiale di vittime dall’inizio della guerra civile, più di due anni fa. E’ salito a oltre 120.000 il totale dei morti, secondo i dati dell’Osservatorio nazionale per i diritti umani, una ong vicina all’opposizione siriana. Tra le vittime 42.945 sono civili (di cui 6.365 bambini), quasi 30.000 sono soldati e oltre 18 mila sostenitori del regime. I ribelli morti sarebbe 18.122  ma a essi vanno aggiunti alcune migliaia di vittime non identificate, in buona parte jihadisti giunti dall’estero per combattere la “guerra santa” contro l’“infedele” presidente siriano Bashar Assad. Nei combattimenti sarebbero inoltre rimasti uccisi 187 guerriglieri libanesi di Hezbollah che combattono a sostegno delle truppe governative.

I team dell’Opac hanno ispezionato 21 dei 23 siti dichiarati da Damasco. I restanti due erano troppo pericolosi da visitare ma il loro equipaggiamento è stato trasferito in altri siti controllati. «Tutti gli stock di armi e agenti chimici sono stati sigillati» ha detto il portavoce dell’Opac, Christian Chartier, insistendo sul fatto che i sigilli sono «a prova di manomissione». Si tratta, ha aggiunto, «di 1.000 tonnellate di agenti chimici e 290 tonnellate di armi chimiche». Tutti gli stock sono rimasti sui siti «non siamo ancora in fase di movimento», ha detto. La Siria dispone anche di 1.230 munizioni non ancora riempite di agenti chimici. Il consiglio esecutivo dell’Opac, che si riunirà il 5 novembre prossimo, dovrà decidere le scadenze e i modi per la distruzione delle armi e degli agenti chimici sulla base del piano generale consegnato dalla Siria il 24 ottobre.

Assad sta costruendo la sua credibilità e affidabilità sul rispetto degli impegni che si è assunto di fronte alla comunità internazionale a settembre, quando grazie a un accordo con la Russia sul disarmo chimico è riuscito a fermare un attacco militare degli Stati Uniti dato ormai per cento. Il suo atteggiamento ha già ottenuto qualche risultato. A cominciare dalle parole pronunciate in diverse occasioni dall’inviato dell’Onu, Lakhdar Brahimi, due giorni fa in visita a Damasco, secondo il quale Assad può contribuire alla transizione politica verso una nuova Siria. Possibilità che l’opposizione siriana continua ad escludere in modo categorico e ripete che non andrà alla conferenza di pace di Ginevra 2 senza aver prima ottenuto la garanzia che Assad si farà subito da parte. Tuttavia il presidente siriano, emerso più forte dagli sviluppi diplomatici di queste ultime settimane, ripete di non aver ancora preso una decisione sulla possibilità di ricandidarsi nel 2014.  Più di tutto è tornato a invocare la cessazione degli aiuti, finanziati e militari, ai ribelli e ai jihadisti che combattono contro il governo centrale. «Fermare il sostegno ai terroristi e fare pressioni sui Paesi che li sostengono è il passo più importante per creare le condizioni adeguate per il dialogo», ha affermato. Paesi che non ha chiamato per nome ma si è evidentemente riferito alle petromonarchie del Golfo, alla Turchia e anche sgli Stati Uniti che sostengono in ogni modo i gruppi armati.

Sul terreno, intanto, circa 1.800 civili, tra cui bambini e donne, sono stati evacuati dal sobborgo di Muaddamiya, a sud-ovest di Damasco, una roccaforte dei ribelli che l’Esercito siriano sta provando a riconquistare. L’operazione è stata resa possibile da un cessate il fuoco con la mediazione della Mezzaluna rossa siriana. Un’iniziativa simile era stata attuata il 12 ottobre scorso, quando altri 3.000 civili erano stati evacuati da Muaddamiya. Ma i combattimenti continuano in altri sobborghi e quartieri periferici della capitale. Come quello di Hajar al Aswad. Nella provincia di Homs, invece, 11 civili sono stati uccisi dai ribelli durante un’incursione nel villaggio di Shalluh, a maggioranza alawita, la stessa confessione di  Bashar Assad.

Intanto i media arabi riportano con crescente insistenza la notizia, non confermata ufficialmente, di un nuovo attacco aereo israeliano in Siria, questa volta  compiuto contro il porto di Latakiya dove sarebbero stati distrutti missili anti-nave Yakhunt.