Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite ha approvato ieri due bozze di risoluzione sulla Libia. La prima, di natura tecnica, stabilisce la proroga della missione Unsmil per sei mesi fino al 15 settembre 2015. Si tratta di un’estensione ben più lunga del previsto (le precedenti missioni venivano prorogate di trenta giorni in trenta giorni).

Il documento, oltre a confermare le sanzioni internazionali alla Libia, prorogando l’embargo contro le armi, il congelamento degli asset finanziari per entrambe le fazioni libiche in conflitto, conferma il mandato del rappresentante speciale del Segretario generale Onu Ban Ki-Moon in Libia, lo spagnolo Bernardino Léon. Il diplomatico è impegnato nel favorire un dialogo impossibile tra parlamenti di Tobruk e di Tripoli per la formazione di un governo di unità nazionale, in corso in Marocco. Il tentativo sembra non andare a buon fine anche a causa dei continui attacchi dei militari filo-Haftar, il golpista che da un anno cerca di prendere il controllo del paese, contro la Tripolitania.

La seconda bozza contiene invece una serie di disposizioni per fermare i jihadisti dello Stato islamico (Is), presenti a Derna e Sirte, di Ansar Al-Sharia e affiliati, che spadroneggiano per le vie di Bengasi, ma non revoca l’embargo alle armi per i miliziani pro-Haftar, come richiesto da Egitto e Giordania. Nella risoluzione si esprime poi grave preoccupazione sul rischio che si estenda il fenomeno dei foreign fighters, addestrati in Libia. Con queste risoluzioni, il governo italiano ha perso un’altra occasione. Ancora una volta non si è impegnato nel sostenere una figura politica forte, come poteva essere l’ex premier Romano Prodi, per rinvigorire il ruolo italiano di mediazione in Libia. La Farnesina si è limitata ad accogliere favorevolmente le decisioni delle Nazioni unite. Il premier Matteo Renzi si è più volte detto favorevole ad un attacco italiano in Libia, anche al fianco di Egitto e Arabia Saudita.

Proprio sulla questione della fine all’embargo delle armi per Tobruk aveva puntato il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi che nel summit della Lega araba in corso a Sharm el-Sheykh ha ribadito la necessità di estendere l’influenza del Cairo in Libia. «Chiediamo di aiutare il governo legittimo affinché possa assicurare la propria autodifesa e lottare contro il terrorismo», è arrivato a dichiarare al-Sisi dimenticando che il parlamento di Tobruk è costretto su una nave ormeggiata a largo di Bengasi e non ha alcuna legittimità elettorale perché il voto si è svolto in fretta e in furia, con una scarsissima partecipazione popolare.

Al-Sisi ha poi aggiunto che la «comunità internazionale deve decidere e assumere un atteggiamento chiaro» per dissuadere con la forza «coloro che usano le armi». I primi ad usare le armi sono tuttavia proprio i militari pro-Haftar e i Zintani che l’ex generale egiziano appoggia. Nel summit di Sharm, l’emiro del Qatar, Tamim al-Thani, che sostiene la legittimità del parlamento di Tripoli, ha ribadito invece il suo appoggio al dialogo nazionale e a una soluzione politica della crisi.