Dal 13 al 21 marzo, gli stati membri delle Nazioni Unite si sono riuniti a Vienna per la sessione annuale della Commission on Narcotic Drugs (Cnd). Quest’anno la riunione prevedeva un segmento di alto livello (High Level Segment), in cui i paesi erano chiamati a valutare progressi fatti nel controllo della droga nel corso degli ultimi 5 anni; e a trovare l’accordo su una Dichiarazione Comune Congiunta Ministeriale (Joint Ministerial Statement) che riflettesse le sfide del futuro.

I negoziati su questa Dichiarazione sono andati avanti per più di sette mesi e i paesi non sono stati capaci di raggiungere il consenso su questioni nodali quali la riduzione del danno, la pena di morte per i reati di droga, e la preparazione della Sessione Speciale sulla droga dell’assemblea generale dell’Onu (Ungass) del 2016. (…) Nel dibattito ad alto livello, le dichiarazioni della Svizzera, dell’Uruguay, della Norvegia, del Guatemala, della Francia, della Colombia, della Repubblica Ceca, del Portogallo, dell’India e di altri paesi hanno sostenuto la necessità di un approccio basato sulla salute e sui diritti umani. L’Ecuador è andato anche più avanti, chiedendo la riforma delle Convenzioni sulle droghe: «L’attuale sistema delle Nazioni Unite ha bisogno di profondi cambiamenti. Non dovremmo credere che basti un solo paese o una sola politica per sconfiggere il problema. Dobbiamo demilitarizzare l’attuale approccio alle droghe e accettare i consumi sociali e culturali in una cornice di rispetto dei diritti umani. L’Ecuador invita il mondo a guardare agli esseri umani e non alle sostanze». A conclusione del segmento di alto livello, poiché nella dichiarazione congiunta ministeriale non era stato possibile inserire una formula avanzata sulla pena di morte per le resistenze di Iran, Pakistan, Cina e altri, l’Unione Europea ha fatto una “dichiarazione interpretativa” in rappresentanza di 58 paesi, di condanna della pena capitale per i reati di droga. A questa, l’Iran e un’altra decina di paesi hanno risposto con una dichiarazione di segno opposto: «La pena di morte non rientra nel mandato delle Nazioni Unite, è una questione penale che ogni stato decide sulla base della sua sovranità… la pena di morte è un deterrente contro il traffico di droga».

La settimana successiva, durante la riunione normale della Cnd, le discussioni e i malumori sono continuati e perciò i negoziati della Cnd sono andati avanti fino all’ultimo minuto. La risoluzione circa le linee per la preparazione di Ungass 2016 è stata oggetto di aspra discussione a porte chiuse per buona parte della settimana e solo il venerdì 21 marzo è stato raggiunto un compromesso, quando la gran parte delle 275 Ong presenti all’evento se ne era andata. La ragione della discussione stava nella posizione di alcuni paesi, principalmente del Sud America: questi volevano essere sicuri che Ungass 2016 possa davvero permettere «un ampio e articolato dibattito senza sbarramenti o tabù» (per riprendere le parole dell’Uruguay).

Nell’insieme, è importante guardare oltre le singole battaglie sui singoli paragrafi delle risoluzioni, perché a Vienna il senso di insoddisfazione e di frustrazione era tangibile e chiaramente sta crescendo. In una conferenza stampa, è stato chiesto al direttore esecutivo dell’Unodc Yuri Fedorov come potesse parlare di “consenso” sulla droga, quando l’uso di droga può portare alla pena di morte in un paese mentre in un altro è legale. Fedorov ha risposto prontamente che si tratta di un “largo consenso”. Ma anche il “largo consenso” è sempre più sotto tensione in vista della profonda revisione dell’attuale approccio sulle droghe che Ungass 2016 dovrà affrontare.

 

*Senior Policy and Operations Manager, Idpc; il testo integrale su www.fuoriluogo.it