È ormai un esercizio futile la conta dei giorni trascorsi dall’annuncio unilaterale russo di pausa umanitaria a Ghouta est, ordinata lunedì dal presidente Putin. Dopo tre giorni si combatte comunque, impedendo l’accesso di aiuti umanitari e l’evacuazione dei civili.

Ieri Mosca è tornata ad accusare le opposizioni islamiste arroccate nel sobborgo damasceno e mescolate ai 400mila residenti: secondo il generale Zolotukhin, di stanza a Damasco, i miliziani lanciano missili sul corridoio umanitario del checkpoint di al Wafadin, a nord, e ieri avrebbero ucciso quattro civili: «Dalle informazioni ricevute nelle ultime 24 ore il numero di appelli dei residenti di Ghouta est agli attivisti per i diritti umani sono aumentate di molto, con la richiesta di assistenza nell’evacuazione».

Richieste inevase, nessuno ha raggiunto le ambulanze della Mezzaluna. O meglio due persone sono uscite: due anziani pachistani sono stati evacuati in coordinamento con le diverse parti (a dimostrazione che un’intesa è possibile).

Diversa la versione delle opposizioni che parlano di cinque morti ieri in raid governativi. Interviene anche l’Onu attraverso il coordinatore umanitario in Siria, Jan Egeland: «Tra pochi giorni dovremmo essere in grado di entrare a Ghouta est. Siamo stati informati che potremmo ricevere una lettera di autorizzazione dal governo».

Di certo un convoglio di aiuti della Croce rossa è entrato nel cantone curdo di Afrin, a nord-ovest: a un mese e dieci giorni dal lancio dell’operazione turca «Ramo d’Ulivo», con abitazioni, ospedali, campi profughi bombardati, 29 mezzi hanno portato aiuti indispensabili a 50mila persone, cibo, vestiti invernali, saponi, coperte, medicinali.

Eppure Ankara ha continuato nei raid anche ieri: i caccia hanno colpito la periferia della città di Afrin, mentre il primo ministro Yildirim rispediva al mittente (per l’ennesima volta) le richieste di adesione alla tregua, mosse daUsa e Ue.

«Ci sono persone che confondono Ramo d’Ulivo con Ghouta est – ha detto parlando al parlamento turco – È ovvio che la risoluzione Onu (votata sabato scorso, ndr) si riferisce a Ghouta est».

Così non è: la risoluzione 2401 al primo punto parla di cessazione delle ostilità «senza ritardi per almeno 30 giorni consecutivi in tutta la Siria», con esclusione delle operazioni rivolte contro «l’Isis, al Qaeda e il Fronte al-Nusra, gruppi a loro associati e altri gruppi terroristi così designati dal Consiglio di Sicurezza». Le unità di difesa curde Ypg/Ypj sono chiaramente escluse.

L’escalation militare che coinvolge gli attori del conflitto globale che si combatte in Siria è lo specchio di una consapevolezza condivisa: la guerra si decide a Ghouta est, una delle tre enclavi ancora in mano alle opposizioni islamiste, e ad Afrin dove la Turchia si gioca la credibilità sul fronte regionale e i gruppi di opposizioni che l’appoggiano la sopravvivenza. Per questo il fuoco non cessa: nessuno intende cedere di un passo, a spese di un paese e un popolo devastati.