La misura del clima internazionale che avvolge le violenze in corso in Israele e Territori occupati palestinesi la danno le dichiarazioni di due cancellerie europee. Nel silenzio assordante di Bruxelles, ieri il ministero degli interni francese ha chiesto alla polizia di vietare la manifestazione prevista per domani a Parigi in solidarietà con i palestinesi.

Nelle stesse ore il ministro degli esteri tedesco Heiko Mass ribadiva l’intenzione di proseguire con la consegna di sottomarini della Thyssenkrupp Marine Systems a Israele perché, ha detto, le sanzioni non servono a calmare le tensioni. Nemmeno continuare ad armare una delle due parti, verrebbe da dire.

Posizioni queste che fanno eco allo stallo alle Nazioni unite, palesemente incapaci di trovare un punto comune. Ieri per il secondo giorno di fila il Consiglio di Sicurezza si vedeva bloccare una dichiarazione congiunta dal vero americano. Gli Usa insistono: controproducente condannare le bombe israeliane su Gaza e i missili di Hamas su Israele, meglio lavorare dietro le quinte. Il lavoro è davvero molto dietro le quinte visto che in superficie non traspare nulla.

APPAIONO SOLO le dichiarazioni dell’amministrazione Biden che continua a parlare di «diritto di Israele a difendersi» e indiscrezioni sull’arrivo a Tel Aviv – una prima assoluta – di una delegazione egiziana per mediare un cessate il fuoco tra Israele e Hamas, incontrato poche ore prima nella Striscia di Gaza, secondo fonti di stampa. Ieri Biden in conferenza stampa ha citato il «work in progress» di egiziani e sauditi, per poi assolvere Israele: i bombardamenti su Gaza «non sono una reazione eccessiva».

Da Mosca sulla questione sono intervenuti ieri il presidente russo Putin e il segretario generale dell’Onu Guterres che hanno individuato come priorità «la fine delle azioni violente da entrambe le parti per tutelare la sicurezza dei civili». Obiettivo raggiungibile, hanno aggiunto, con un incontro urgente del Quartetto (Usa, Russia, Onu e Ue), evaporato da e silenzioso da un bel po’.

Più reattiva è la Corte penale internazionale che a marzo aveva annunciato l’avvio di un’inchiesta per crimini di guerra commessi nei Territori occupati dal 2014 da parte di Israele (offensive contro Gaza e colonizzazione) e da Hamas (razzi). Mercoledì la procuratrice capo Fatou Bensouda ha detto di star seguendo «l’escalation di violenze in Cisgiordania, Gerusalemme est e Gaza e la possibile commissione di crimini secondo lo Statuto di Roma».

ALLA FINE A TENERE davvero il punto politico, a guardare alla luna mettendo da parte il dito, sono i socialisti statunitensi e le star internazionali. Da una parte lo Squad team, con Alexandria Ocasio-Cortez che ieri tornava a chiedere conto a Biden di dichiarazioni che «disumanizzano» i palestinesi e sostengono «l’occupazione» senza indicare «i motivi che hanno condotto a questo ciclo di violenze, l’espulsione dei palestinesi e gli attacchi ad al-Aqsa».

E poi c’è il tam-tam sui social, acceso da milioni di utenti e dalle celebrità: da Bella Hadid a Rihanna, dai Rage against the Machine alla premio Nobel per la pace Malala, l’appello è unico, porre fine a un’ingiustizia perpetrata da decenni sulla pelle dei palestinesi.