Secondo l’età, lo studio del latino può aver lasciato traccia sgradita. Insegnanti feroci e insensibili, regole ferree ma oscure, esperimenti mnemotecnici per sopravvivenza (mar.ma.lu.ot., d.i.t.a.), filastrocche dementi o ineludibili (visroboris, adrivumeundem, Galliaomnisdivisaest): un insieme che spesso appariva, già in gioventù, poco sensato. Taluno tuttavia rimpiange le vessazioni insensate di quel tipo di scuola, e il latino, con il ricordo di bislacche regole o eccezioni rarissime, diventa medaglia di supposto eroismo. Qualcosa non tornava. Nel suo ormai lungo confronto con il latino (dal 1972), chi scrive non ricorda d’aver mai incontrato, leggendo, le forme ‘irregolari’ di amussis o di ravis, vocaboli pur studiati con rispetto, tanti anni fa.
Certo, dal quel tempo remoto a oggi, contro gli eccessi del grammaticalismo sono intervenute varie reazioni: non si traduce più in latino, e anche la traduzione dal latino non sta troppo bene. In prospettiva non si tradurrà proprio più (per il resto c’è Google, right?). L’approccio al latino ha perduto in ferrea rigorosità, mantenendo però il modello di analisi: la tenuta non è buona. La grammatica appare oggi un sapere in crisi, disorientato. Con fatica si riescono a proporre collaudati metodi di analisi della lingua, ma con risultati spesso inadeguati in termini di conoscenze. Il lavoro, con pregi e limiti, si fonda sull’antica ratio studiorum, con gli apporti della linguistica storica ottocentesca. Lo studio del linguaggio è da allora assai mutato, ma il dialogo con la linguistica «sincronica» è stato scarso e difficoltoso. Nello studio delle lingue vive, l’attenzione va oggi all’uso, più che alla norma: ciò crea qualche problema per le lingue antiche, per le quali è arduo trovare dei madrelingua. Per questo è inevitabile, con il greco e il latino, ricorrere allo sguardo teorico e sistematico della grammatica, e però da tempo l’insegnamento del latino è alla tormentosa ricerca di nuovi metodi.
Avvicinare il latino agli esiti moderni della linguistica è l’obiettivo di Renato Oniga, Riscoprire la grammatica Il metodo neo-comparativo per l’apprendimento del latino (Forum Editrice Universitaria Udinese, pp. 328, euro 26,00). Il libro, che si propone come strumento di studio universitario, è l’esito di un lungo percorso, che va da I composti nominali latini: una morfologia generativa (1988) a Latin: A linguistic Introduction (2014). Si muove da una domanda semplice e difficile: che vuol dire «sapere il latino»? La scuola si è occupata, con crescente insuccesso, di rendere accessibile la lingua «alta» codificata nella prosa letteraria e nella poesia, ma ha dedicato minore attenzione alla lingua in sé, ai mondi in cui il latino «funziona». L’affastellarsi di «regole» (talora enunciate per insegnare agli italofoni a scrivere in latino: esigenza inattuale e eteronoma) ha dato al latino e pure al greco antico l’immagine di lingua «strana» e complicata. Oniga ne recupera invece la natura «normale», comparabile quindi con le altre lingue. L’analisi si serve della grammatica detta «generativa»: le strutture fondamentali della morfologia e della sintassi vengono rilette tenendo conto di alcune strutture «universali» del linguaggio. Una frase latina «funziona» come una inglese o italiana, o meglio, può essere descritta con gli stessi strumenti.
Scritto con pacata chiarezza, il libro evidenzia il piacere di svelare, con modi razionali, la naturalezza dei fenomeni linguistici. La dimostrazione è condotta talora con entusiasmi «lucreziani»: in questo modo persino conoscere le regole sottostanti alla sintassi può essere un elemento «divertente». L’aspetto più interessante del libro viene dalla descrizione dei fenomeni linguistici, che spesso è diversa da quella tradizionale, anche nella nomenclatura. Il ricorso a categorie non tradizionali (paziente, agente, verbi inaccusativi, complementatore) e ai grafi ad albero può mettere inizialmente in crisi il lettore, ma presto guadagna chiarificazioni sostanziali, a proposito di fatti linguistici prima descritti in modo non adeguato, non preciso, o non efficace. Si ricorre a elementi (per esempio i «sintagmi») che l’analisi linguistica ha da tempo fatto propri, ma che qui vengono sperimentati per l’analisi del latino. Vantaggi evidenti si notano per taluni temi della morfologia (per esempio i vari tipi di composti) e ancor più per la sintassi: per esempio, il «movimento» che illustra il funzionamento delle frasi relative. In altri casi, come le infinitive, l’analisi avvia comunque a una comprensione più profonda delle strutture, e quindi auspicabilmente a una migliore conoscenza.
Regge il lavoro la certezza che il latino è parte fondamentale del lessico intellettuale internazionale: un concetto di piana evidenza, che va oggi invece costantemente ribadito, perché occorre respingere l’aggressione portata dal mondo delle tecniche. La dismissione del latino, ottenuta all’italiana attraverso la progressiva marginalizzazione, impoverisce le parole. A detta di qualcuno, le parole della cultura umanistica sono solo chiacchiera, un lusso per le epoche di benessere: come l’arte e la musica, che andrebbero bandite dalle scuole. Urgerebbe far spazio invece ai «fatti» di scienza, come se tecnica, scienza e economia fossero inconfutabili e oggettive. Si finge d’ignorare che le parole sono espressione dei pensieri: sono forse questi il «lusso» di cui non ci si può più occupare, e da riservare agli «happy few»?