Serve un maggiore coordinamento con la Guardia costiera e soprattutto non si può dar vita a corridoi umanitari «privati», non organizzati dai governi, ma quello svolto dalle organizzazioni umanitarie che salvano i migranti nel Mediterraneo è comunque un lavoro prezioso.

Dopo sei settimane di sedute e 23 audizioni – nelle quali sono ascoltati i procuratori di Catania, Siracusa e Trapani, i responsabili delle missioni militari e rappresentanti di otto Ong – sono le conclusioni raggiunte dalla commissione Difesa del Senato che ha voluto capire quanto accade nel Mediterraneo dopo il rapporto dell’agenzia europea Frontex e le esternazioni del procuratore di Catania Carmelo Zuccaro. Conclusioni abbastanza generiche da permettere a tutti i membri della commissione di votarle, raccogliendo l’unanimità soprattutto sulle proposte di nuove regole per le Ong da seguire per i salvataggi in mare. Magari convincendole a prestare soccorso ai barconi carichi di migranti con a bordo un agente di polizia giudiziaria, come proposto dallo stesso procuratore Zuccaro. «Pur comprendendo la posizione delle Ong che non vogliono la presenza di polizia a bordo – spiega il presidente della commissione Nicola Latorre – non vedo perché dovrebbero rifiutarsi di condividere delle nuove regole». Decisamente più categorico il giudizio del senatore Mdp Federico Fornaro, per il quale l’indagine ha comunque permesso di «fare chiarezza che non esistono complotti orditi dalle Ong, né ruoli oscuri, ma anche che tutte le attività delle Ong si sono svolte con il consenso della Guardia costiera».

Nelle 31 pagine della relazione finale si sottolinea come in aggiunta alle navi militari e ai mercantili, i due soggetti tradizionalmente considerati dalle convenzioni internazionali come i protagonisti dei salvataggi in mare, dal 2014 si siano aggiunte anche le navi delle Ong. «Ci troviamo di fronte a profili nuovi non contemplati dalle legislazioni internazionali che però hanno una presenza stabile» nella acque internazionali di fronte alla Libia, ha spiegato Latorre.
Un «affollamento» che in alcuni casi avrebbe intralciato le indagini sui trafficanti di uomini. Un esempio di queste difficoltà è emerso dalle audizioni dei tre procuratori, che hanno ricordato come i telefoni satellitari utilizzati dai trafficanti di uomini «vengono buttati in mare se i soccorsi sono fatti dalle navi militari, mentre nel caso di intervento di navi delle ong, i telefonini vengono recuperati per essere riutilizzati in altre traversate», ha proseguito Latorre. Basta questo per ipotizzare presunte collusioni tra ong e scafisti? Naturalmente no, anche perché l’ipotesi è stata smentita da tutte i responsabili militari ascoltati in commissione. Non a caso la relazione ricorda come, fatta eccezione per quelle condotte dalla procura di Trapani su singole persone, «non vi sono indagini in corso a carico di organizzazioni non governative in quanto tali».

Per la commissione con la loro attività le Ong hanno di fatto dato vita a una sorta di corridoi umanitari e questo – è spiegato nella relazione – è «un compito che compete esclusivamente agli Stati e alle organizzazioni internazionali o sovrazionali» e non a «soggetti privati» come sono le Ong. Resta da capire perché, stando così le cose, non sia direttamente l’Italia a prendere l’iniziativa vista la presenza in Libia di un esecutivo voluto dall’Onu e i continui viaggi a Tripoli di esponenti del governo italiano.

Dalla commissione arrivano invece proposte che mirano soprattutto a regolamentare ulteriormente l’attività delle Ong. A partire dalla creazione di un registro delle organizzazioni che dovranno dichiarare la provenienza dei finanziamenti, consentendo inoltre di verificare l’adeguatezza delle imbarcazioni e la composizione degli equipaggi, visto che spesso si tratta di persone che non appartengono alla Ong.

Le operazioni di salvataggio dovranno rientrare infine sotto il coordinamento della Guardia costiera dalla quale dipenderanno anche «le modalità di svolgimento del servizio, oltre che l’area nella quale posizionarsi». L’ultimo richiamo la relazione lo riserva infine a Malta e Tunisia, due paesi che non intervengono nelle rispettive aree di salvataggio lasciando così all’Italia il compito di coprire un’area di mare vastissima.