E’ successo di nuovo. La Guardia costiera libica è intervenuta in acque internazionali per impedire a una Ong di trarre in salvo un gruppo di migranti che si trovava a bordo di un gommone. Salvataggio interrotto come al solito minacciando i membri dell’equipaggio. A subire l’ennesima violenza da parte della Marina libica questa volta è stata l’Ong spagnola Proactiva open arms, una delle tre ancora attive nelle operazioni di soccorso nel Mediterraneo centrale.

A riferire l’episodio, che aumenta ulteriormente il clima di tensione già esistente nell’area, è stato ieri il fondatore dell’organizzazione, Oscar Camps. «Le minacce sono arrivate da parte di un gruppo armato libico che la Commissione europea ama chiamare Guardia costiera della Libia. Del resto ‘solo’ in settanta sono morti sabato scorso», ha commentato Camps. L’intervento libico si è svolto in acque internazionali, dove le motovedette di Tripoli non hanno alcuna autorità. Proprio per questo rappresenta una violazione del diritto internazionale, come sottolinea il senatore Luigi Manconi, presidente della Commissione Diritti umani del Senato. «Si tratta di una gravissima violazione delle convenzioni internazionali, messa in atto dalla Guardia costiera libica senza che nessuna autorità sovranazionale intervenisse e facesse sentire la sua voce», ha detto Manconi.

Quello di ieri è solo l’ultimo di una lunga serie di violenze messe in atto dai militari libici ai danni delle Ong. Solo pochi giorni fa, il 27 gennaio, sempre la Guardai costiera libica ha ordinato alla nave Aquarius di Sos Mediterranee di non intervenire per soccorrere uomini, donne e bambini che si trovavano a bordo di un gommone semi affondato. Anche in quel caso sia i migranti che i volontari di Msf si trovavano in acque internazionali. L’8 agosto dello scorso anno andò peggio, invece, sempre a Proactiva open arms. In quell’occasione i libici non si limitarono a minacciare ma spararono con la nave dell’Ong spagnola per convincerla ad allontanarsi. Pochi giorni dopo, il 20 agosto, sempre Proactiva viene sequestrata per due ore dai guardacoste libici che li costringono a dirigersi verso le acque del Paese nordafricano. In entrambi i casi la nave dell’Ong si trovava in acque internazionali.

La Guardia costiera libica è finanziata ed equipaggiata dall’Unione europea e in particolare dall’Italia che ha addestrato gli equipaggi e fornito le motovedette armate con le quali i barconi carichi di migranti vengono intercettati e riportati nei centri di detenzione dai quali fuggono. Un’attività conseguente all’accordo siglato dall’Italia con la Libia e che ieri il premier Paolo Gentiloni ha rivendicato come un successo del suo governo: «Se da luglio (del 2017, ndr) a oggi il numero di immigrati irregolari è calato del 70% – ha spiegato – il merito è quasi esclusivamente italiano. Il nostro Paese ha aperto la strada, per quanto ci sia ancora molto da fare». Nulla sulla sorte dei migranti, come quelli riportati indietro ieri: «Possiamo immaginare quale sarà il loro destino. A quest’ora saranno reclusi in uno dei centri di detenzione sulle coste libiche», è la conclusione di Manconi.