Di fronte a prodotti di cui non è dimostrata la innocuità, ne se ne difende la diffusione utilizzando la mancanza di prove certe di danno alla salute pubblica come fosse assenza di rischio. La prova certa viene raggiunta per l’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) quando i risultati delle ricerche sono convincenti in una misura superiore al 50% , vuol dire che molti risultati di ricadute nocive alla salute di prodotti , infrastrutture, sostanze alimentari o farmaceutiche attendono anni senza alcuna tutela né informazione.

La ricerca speculativa contrasta e tacita gli stessi risultati con ricerche mal condotte proprio perché non facciano emergere nulla (Tomatis 2007; Levis 2015; Seife 2013; Johasson 2013).

L’altra tendenza vede ricercatori indipendenti da interessi economici e di carriera perché i suoi membri non ricoprono più poltrone al contempo, in aziende e in enti pubblici. Pretende si investa nel “principio di precauzione” che sposta l’onere della prova della inesistenza di rischi per la salute sui prodotti e sui produttori invece che sulle persone che li devono scontare e alcune nazioni l’hanno già fatto. Il principio di precauzione va applicato quando gli effetti negativi risultano ancora incerti ma i rischi dell’inazione possono essere di gran lunga superiori a quelli di prendere misure per ridurre o impedire le esposizioni (Carpenter , Sage, 2012). Bisognerebbe vietare la diffusione di prodotti prima che siano appurati i loro effetti sulla popolazione. I risultati che rilevano criticità dovrebbero essere divulgati per conoscere i rischi che si corrono nel consumo di ciò che appare solo come un guadagno e nell’utilizzo dell’impianto tecnologico di cui vede solo la comodità, perché nessuno sia costretto ad essere una vittima inconsapevole.

La ricerca scientifica contemporanea ha prevalentemente caratteristiche mercantili, non è interessata a perseguire studi , come quelli eziologici che verificando la nocività potrebbero arrestare le vendite dei prodotti; anche in campo medico, ad esempio, difficilmente persegue ricerche su cosa produce le neoplasie o sulle piccole dosi di inquinanti che, spesso, considerate normali, agiscono nel tempo e in modo diffusivo sulla salute della popolazione (Tomatis 2007).

Lo sviluppo tecnologico non si cura di dove porta la società e la nostra salute ma di sfruttare l’attrazione che suscita, economicamente. Abbiano già assistito come il nessun rischio dichiarato ad esempio per il DDT, i raggi X, la radioattività, il fumo, l’amianto, la BSE, l’esposizione a metalli pesanti, all’uranio impoverito, ecc.., prima di una seria conoscenza del fenomeno, abbia portato alla sofferenza di molti esseri umani (Johasson 2013). Oggi è il caso dei prodotti elettromagnetici che la politica istituzionale si adopera a rendere obbligatori. Questa è una violenza nuova: non è mai stato obbligatorio l’acquisto personale di prodotti rischiosi, né il loro consumo mentre con le onde radio si impone alla popolazione di dotarsene quando si vuole comunicare con le Istituzioni amministrative e con i servizi, quando addirittura divengono necessarie per frequentare la scuola.

I campi elettromagnetici a radiofrequenza, anche a bassa intensità, producono effetti sulle persone esposte a frequenze dell’ordine di quelle emesse dai telefoni cellulari e dalle stazioni radio base (Hyland 2000; Olivetti Rason 2002; Carpenter and Sage 2012), possono interferire con i messaggi cerebrali e predisporre a tumori e leucemie (Hyland 2004;), potenziare per sinergia altri inquinanti come l’inquinamento atmosferico e i pesticidi (Pasinato 2010). Tutti noi siamo regolati da segnali bioelettrici che mantengono in equilibrio il nostro organismo e queste tecnologie vengono attuate senza curarsi degli effetti che possono avere.

Oggi la delega politica è enorme, il cittadino è succube delle ideazioni commerciali e delle logiche del mercato nei trasferimenti tecnologici invece di essere protagonista dell’orientamento scientifico a sostegno della salute delle popolazioni e del pianeta.