In questo avvio di estate rovente, anche il mare Mediterraneo ha subito un vertiginoso aumento di temperatura. Il mar Ionio, in particolare, ha registrato un picco che ha sfiorato i 5°C sopra la media stagionale. I climatologi la chiamano «ondata di calore marino», un fenomeno che si verifica quando la temperatura del mare supera una soglia estrema per più di cinque giorni consecutivi. Nel Mediterraneo questa anomalia è iniziata il 10 maggio. A riscaldare il mare è la persistenza dell’anticiclone subtropicale africano che si è manifestato decisamente in anticipo quest’anno, nella seconda metà della primavera. Il mar Ligure ha sperimentato una prima ondata di calore marino per tre settimane, con picchi di 2-3°C prima che queste decadessero e si ripresentassero a metà giugno, mentre nel golfo di Taranto l’ondata di calore è arrivata più tardi ma con maggiore intensità, raggiungendo quasi 5°C sopra la media.

A monitorare la situazione è il Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) elaborando i dati satellitari del Copernicus Marine Service che registrano in tempo quasi reale la temperatura della superficie del mare. Il CMCC gestisce il Mediterranean Forecasting System (MedFS) che produce previsioni, ma solo settimana per settimana, e monitora l’andamento.

«Quello delle ondate di calore marino è un fenomeno meno conosciuto rispetto alle ondate di calore che si verificano in atmosfera, lo studiamo e approfondiamo solo da una decina di anni – ci spiega Simona Masina, oceanografa, ricercatrice del CMCC – In questo momento non possiamo attribuire con certezza questa ondata di calore marino al cambiamento climatico di origine antropica. Parliamo piuttosto di evidenze e di analisi che ci vengono dai dati satellitari della temperatura della superficie del mare forniti da una rete sufficientemente densa nel Mediterraneo. Quello che possiamo affermare con certezza è che la frequenza, l’intensità e la durata delle ondate marine di calore sono in aumento, non solo nel Mediterraneo, ma a livello globale: tra le più estreme vanno ricordate quelle che si sono verificate in Australia e nel Nord del Pacifico. Quanto alla loro correlazione ai cambiamenti climatici, uno studio pubblicato su Nature nel 2018 da un gruppo di ricercatori dell’Università di Berna ha affermato che l’87 per cento delle ondate di calore marino che si sono verificate a livello globale tra il 1982 e il 2016 è attribuibile al riscaldamento globale indotto dai gas serra».

La memoria va alla torrida estate del 2003, quando le condizioni erano simili a quelle attuali e nei mesi di luglio e agosto si verificarono eventi di moria di massa di organismi marini. Ora è prematuro fare previsioni per l’estate soprattutto perché, come sottolinea Masina «le previsioni oceanografiche stagionali sono un campo del tutto nuovo. Certo è che osservare e monitorare la quantità di calore che viene immagazzinato dagli oceani è un indicatore importantissimo del cambiamento climatico e ci permette di capire come l’oceano assorbe il calore e come il calore si propaga in profondità, perché questo ha un impatto sugli ecosistemi marini».

La misurazione delle temperature in profondità viene fatta con un sistema di boe autonome, chiamate Argo, che sprofondano fino a 1000-1500 metri per poi riemergere in superficie cariche di dati su temperature e salinità alla diverse profondità. «Queste boe sono circa 4 mila in tutto il globo, chiaramente non possono darci una copertura molto ampia degli oceani – spiega Masina – per questo al CMCC usiamo tecniche statistiche che combinano in modo ottimale i dati con modelli numerici che ci consentono di ricostruire un’immagine completa della situazione degli oceani».
Dalle boe sappiamo che anche il mare profondo si sta surriscaldando, fino a 2000 metri di profondità si assiste ad un assorbimento anomalo del calore. È l’effetto di mitigazione dell’oceano: il 90 per cento del calore in più che abbiamo immesso in atmosfera è immagazzinato nel mare e «meno male per noi che si scalda il mare, a discapito però della sua salute», commenta Masina.

Cosa possiamo aspettarci alla fine di questa estate dall’inizio rovente è ancora difficile da prevedere. Secondo Masina «in generale, possiamo affermare che un mare più caldo a fine estate fa da facilitatore per lo sviluppo di strutture cicloniche, quelle che chiamiamo Medicanes (Mediterranean hurricanes, uragani mediterranei), che hanno caratteristiche simili a cicloni tropicali». In sostanza, è una condizione necessaria ma non sufficiente per lo sviluppo di altri eventi estremi. Certo è che tutto questo calore gli oceani lo rilasciano molto più lentamente e non sarà qualche perturbazione meteorologica, per quanto auspicabile, ad invertire la tendenza.