La mamma è bionda come le figliolette, insegna loro l’uso corretto degli avverbi nella costruzione delle frasi, la fattoria è un punto solitario nella luce di un paesaggio sconfinato. È un attimo e il quadro di questa serenità familiare diventa brutalità, violenza, morte sotto i colpi degli «indiani» coi colori della guerra, feroci, implacabili. «Nella sua essenza l’anima americana è dura, solitaria, stoica e assassina. Finora non si è mai ammorbidita» recita l’incipit del nuovo film di Scott Cooper (Out of the Furnace – Il fuoco della vendetta) che su questa citazione fonda l’intero svolgersi di Hostiles, scelto per inaugurare ieri la dodicesima edizione della Festa di Roma.

Il Mito della frontiera, la pulsione della conquista, lo scontro primario all’origine di un immaginario collettivo (non solo hollywoodiano) in una nuova variazione di malinconia postmoderna che ne allunga le ombre a oggi. Siamo tra le gole di canyon insidiosi ma potremmo essere nei deserti delle piane afghane o tra le dune bollenti dell’Iraq, nei meandri di quello «scontro di civiltà» che oppone l’America e il resto del mondo classificato come «nemico». Cooper però spinge le cose un po’ più in là declinando in questo suo western di redenzione tutta la Storia al presente a cominciare dal «lessico» – le parole contano – che mette nelle bocche dei soldati americani pronti a vantarsi di quanti uomini e donne e bambini indiani hanno ammazzato la parola «nativo», con la pretesa di una coscienza impensabile per i tempi (siamo nel 1892) di fronte allo sterminio della conquista.

Bastano poche sequenze per dispiegare l’intera costellazione politica nella quale è altrettanto facile scorgere allusioni all’oggi: il capitano dell’esercito alle soglie della pensione Joe Blocker – con gli occhi dolenti di Christian Bale – uno che è sempre stato sul campo e odia i «nativi» perché li ha visti ammazzare i suoi migliori amici ma detesta pure gli intellettuali progressisti da salotto che non sanno nulla e non hanno mai conosciuto la guerra come il giornalista quasi prototipo della stampa «embedded» mandato per testimioniare il grande gesto progressista che è la liberazione di un anziano e malato capo Cheyenne, Falco Giallo, insieme all’intera famiglia.

E poi il superiore di Blocker, il «falco» opportunista e astuto pronto a eseguire gli ordini del presidente – la riconciliazione verso gli oppressi – per promuovere la sua carriera. Sa che inviando i suoi uomini nella valle (verdissima) dove il vecchio capo vorrebbe morire li manderà probabilmente a farsi ammazzare.
Ci sono le mogli dei colonnelli piene di afflati «democratici»anche loro (come maltrattiamo i nativi è una vergogna) e i guerrafondai convinti, quelli che gli indiani vogliono continuare a ucciderli perché così deve essere. Ci sono i razzisti che non guardano nessuna legge e chi, come Rosalie (Rosamund Pike), la madre sopravvissuta al massacro, ha perso tutto ma non riesce a farsi sopraffare dalla vendetta avvicinandosi all’altro, in particolare alle donne Cheyenne.

L’on the road dal New Mexico al Montana attraverso l’America di spazi infiniti – punteggiato di accadimenti da manuale della sceneggiatura – sposta pian piano il nocciolo della questione: ciò che interessa Cooper sembra essere soprattutto quell’«anima dura» di cui Blocker è l’espressione compiuta. Il suo sguardo nonostante si dichiari in uno specchiato «politicamente corretto» dalla parte degli oppressi – c’è pure il soldato african american delle cui gesta eroiche il padre sarebbe fiero … – coincide interamente con «l’uomo bianco» di fronte al quale gli altri sono saggi o cattivissimi ma non hanno mai una vera parola. Di per sé non sarebbe sbagliato se il regista si assumesse la responsabilità del suo punto di vista senza opporvi continuamente giustificazioni o scappatoie di una rilettura storica strumentalmente a posteriori che salvi i suoi «eroi»

«Ho fatto il mio lavoro» replica Blocker, che crede in dio e legge Giulio Cesare, a chi lo accusa di crudeltà o, come l’ex commilitone che ha spostato nella vita le sue azioni assassine, di essersi rammollito. Ma al conflitto tra morale, etica, cosa è lecito solo perché giustificato dalla guerra Cooper – che certo non è Eastwood pure se a Gli Spietati pensa – passa accanto preferendo la più accattivante e consensuale via della redenzione. Il cosiddetto colonialismo «morbido», come le belle immagini illuminate da Masanobu Takayanagi, quello che accarezza paternalisticamente per riscrivere la Storia. Sempre a favore di chi ne detiene il potere.