In una recente intervista a Guido Barilla è stato chiesto se fosse disponibile a realizzare spot pubblicitari con famiglie gay. Il proprietario de « Il Mulino Bianco» avrebbe potuto evitare di esporsi pubblicamente su un terreno scivoloso rinunciando a parlare delle sue opinioni personali. Si è lasciato, invece, andare in una reazione scomposta che è coronata nell’affermazione che gli omosessuali sono liberi di fare quello che vogliono ma senza infastidire gli altri. Un uomo d’affari non si abbandonerebbe a sfoghi di questo tipo, che danneggiano i suoi interessi commerciali, se non fosse punto sul vivo.
La famiglia idilliaca de «Il Mulino Bianco» che Barilla ci propina con la sua pubblicità non è un falso innocente volto solo a invogliarci a spendere: è espressione di una cultura di cui lui per primo è imbevuto e dalla quale la sua posizione sociale e imprenditoriale è indissociabile. La «famiglia è per noi sacrale» ha sottolineato nell’intervista usando un linguaggio antiquato, privo di quell’abilità comunicativa attuale capace di velare il proprio discorso e più a contatto diretto con la concezione della vita di cui si fa veicolo. La famiglia sacrale ha come suo modello la Sacra Famiglia che, tuttavia, non è una famiglia vera: la sostituzione della relazione di desiderio tra i genitori con una relazione mistica tra un padre spirituale e una figlia a lui devota ne fa, sul piano dell’esperienza reale, una costruzione artificiale priva di conflitti e di vita. La sua presenza nell’immaginario collettivo favorisce la sottomissione dell’eros che sottende i rapporti familiari a una struttura di organizzazione mentale che li ritrascrive in rapporti normativi di potere. Il fatto che molte aziende si dichiarino pronte a includere le famiglie gay nello spazio dorato del proprio marketing se segnala un clima più favorevole al riconoscimento dei diritti civili di tutti non autorizza per questo grandi illusioni su una concezione meno alienante dei rapporti familiari (che tuteli il carattere privato, personale della nostra partecipazione ad essi).
Sotto la pressione di una richiesta di cambiamento il modo migliore di difendere la norma è estendere il suo territorio attraverso un’apertura sul piano della forma che svuota di senso la sostanza di una rivendicazione che avanza cercando il suo spazio. Equiparare la coppia omosessuale a quella eterosessuale per appiattire entrambe sui rapporti di potere (che continuano a esercitare il loro dominio) è la miglior scelta di conservazione dell’esistente possibile. L’omosessualità ha una carica destabilizzante che può dare fastidio perché interroga l’eterosessualità (di cui è peraltro parte necessaria) e impedisce che il rapporto tra l’uomo e donna diventi normativo, un imprigionamento dei loro idiomi e ruoli in una relazione statica.
La reazione emotiva di Barilla, che rompendo la correttezza di superficie ha svelato il suo substrato retrivo, ha reso evidenti i termini di un conflitto che si preferisce nascondere. La genitorialità omosessuale crea uno scambio di prospettive (e un terreno di identificazioni crociate) con la genitorialità eterosessuale. L’importazione da parte delle coppie genitoriali eterosessuali della maggiore libertà nell’alternanza delle posizioni che caratterizza quelle omosessuali amplia la libertà di movimento all’interno delle famiglie e sposta la contrattazione del legame tra genitori e figli dalla mera soddisfazione dei bisogni, che assegna un potere unilaterale ai primi, all’incontro tra i loro desideri dove la relazione è paritetica.