Minacce, neanche tanto velate, di ripercussioni nella maggioranza che sostiene il governo Draghi (Lega). Accuse di squadrismo e bullismo rivolte ai senatori del Carroccio e di Fratelli d’Italia (Monica Cirinnà) ma anche di tenere in ostaggio un disegno di legge atteso dal almeno due decenni. (Laura Boldrini).

La legge contro omofobia e transfobia continua a dividere il parlamento e la stessa maggioranza, con il centrodestra scatenato e pronto a tutto pur di fermare il provvedimento fermo a palazzo Madama dal 5 novembre dell’anno scorso, il giorno dopo essere stato approvato dalla Camera. Un dibattito che ha poco e niente di politico e molto di ideologico ma sul quale Lega e FdI , ma anche una parte di Forza Italia (due senatrici si sono pronunciate a favore della legge) hanno deciso di alzare le barricate. Fatto sta che anche ieri un altro giorno è passato tra accuse e ricatti senza che la legge contro i crimini di odio verso le persone omosessuali, le donne e i disabili venisse calendarizzata tra i lavori della commissione Giustizia, dove giace ormai da cinque mesi. E dove rischia di rimanere ancora a lungo.

Nel tentativo di smuovere le acque, su iniziativa del senatore Pietro Grasso (LeU) ieri i capigruppo di Pd, Misto, Italia Viva, M5S e Autonomie hanno presentato un’istanza al presidente della commissione, il leghista Andrea Ostellari, chiedendo la convocazione urgente dell’ufficio di presidenza per decidere finalmente quando cominciare ad esaminare il provvedimento. La reazione del Carroccio non si è fatta attendere: «Siamo assolutamente contrari», ha tuonato il presidente dei senatori leghisti Massimiliano Romeo agitando lo sparacchio di possibili conseguenze sulla stabilità dell’esecutivo: «Forzature su temi così divisivi rischiano di compromettere quei rapporti all’interno del parlamento e quel cima di sostegno e unità nazionale che si è creato e che potrebbero avere riflessi sul governo», ha avvertito. In realtà, in questo caso la maggioranza c’entra poco visto che si tratta di un’iniziativa parlamentare che nulla ha a che vedere con l’agenda del governo.

Provano a spiegarlo ai leghisti la capogruppo del Misto Loredana De Petris, ma anche il Pd, mentre il dem Alessandro Zan, relatore della legge alla Camera, rivolge l’ennesimo appello al presidente della commissione. «Ostellari – dice – dismetta la casacca di partito e sia figura super partes, come il suo ruolo istituzionale impone». Segue una riunione dei capigruppo della maggioranza che non decide nulla, se non di rinviare tutto a un successivo ufficio di presidenza senza però fissare la data di convocazione. Insomma, ancora una volta nulla di fatto e un altro giorno perso.

Le possibilità, adesso, sono solo due. Le forze che sostengono la legge – Pd, LeU, M5S, Italia Viva e Autonomie – hanno i numeri per permettere l’avvio dei lavori in commissione, dove è scontata una valanga di emendamenti da parte del centrodestra per quantomeno rallentarne i lavori. Oppure scegliere di arrivare in aula senza relatore e decidere lì il destino della legge. Impresa non priva di rischi. Per il centrodestra il ddl rappresenterebbe un limite alla libertà di espressione, anche se un articolo, il 4, è stato inserito proprio per tutelare il pluralismo delle idee.

Questo permetterebbe però a Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia di chiedere i voto segreto sugli articoli, aprendo la strada a ogni possibile risultato visto che in passato dubbi analoghi erano stati espressi anche da alcuni parlamentari cattolici del Pd e in teoria risolti, durante l’esame del provvedimento alla Camera, proprio con l’inserimento dell’articolo 4. Non è escluso che un eventuale voto segreto possa far resuscitare dubbi che si sperava superati definitivamente.