Intolleranza, omofobia, sessismo. Razzismo. I casi nello sport americano, in questa fase storica soprattutto a livello collegiale si moltiplicano. Sembrano tutti diversi, in realtà la matrice, il marchio di fabbrica è sempre lo stesso. Discriminazione, insopportabili cliché su donne, neri, in seconda battuta latini o messicani. Un fenomeno che rischia di allargarsi ulteriormente, un potenziale boomerang appena Trump si accomoderà alla scrivania della Casa Bianca. Stavolta l’episodio – anzi più di uno – di razzismo riguarda una squadra di wrestling della Columbia University, uno dei college del ristretto circuito della Ivy League, gli otto atenei privati migliori del Paese.

Insomma, dalle aule che dovrebbero produrre la futura classe dirigente statunitense. E invece. Alcuni atleti della squadra di wrestling si sono scambiati per diversi mesi, forse dal 2014, una lunga serie di commenti omofobi su un servizio di messaggeria, GroupMe. Il contenuto è stato svelato da uno studente anonimo all’interno del campus e diffuso poi sul sito indipendente – e molto conosciuto nell’ateneo – www.bwog.com. Con il caso che si è diffuso a macchia d’olio, obbligando la dirigenza del college (che ha definito pubblicamente «spaventoso» il tenore del linguaggio degli atleti) a sospendere la squadra di wrestling sino alla soluzione del giallo, dopo un’accurata – ha assicurato l’ateneo – indagine interna. Ed è anche partita una petizione online, sottoscritta da oltre un migliaio di studenti nel campus della Columbia University, affinché il rettore mandi via gli atleti intolleranti.

E sempre via servizio di messaggistica GroupMe – ma stavolta lo sport non c’entra – è finito nei guai per insulti razziali a colleghi neri di Penn uno studente di Oklahoma University, mentre il caso che ha fatto più discutere nelle ultime settimane si è registrato a Harvard University (fiore all’occhiello della Ivy League), con la squadra di calcio maschile che si è visto annullare la stagione per commenti a sfondo sessuale volgari e offensivi verso le colleghe in scarpini e calzoncini, sempre via chat. Con il contenuto che era addirittura messo agli atti, archiviato in un documento scritto, diventata la prova del reato.

E anche il flusso di offese all’indirizzo delle ragazze avveniva – come alla Columbia – da diverso tempo, addirittura dal 2012. Oltre dieci giorni fa, il giorno di Halloween, a Wisconsin University circa 20 atleti neri della squadra di football chiedevano via twitter agli alti uffici dell’ateneo di intervenire subito sulla politica di disuguaglianza razziale presente nel campus. Poche ore prima un tifoso in tribuna, durante una partita, indossava una maschera con metà del viso che raffigurava Barack Obama e l’altra metà Hillary Clinton. E con un cappio al collo. I venti atleti neri del football lamentavano la mano leggera del rettore – revocato abbonamento al tifoso cui è stato consentito anche godersi la partita -, sottolineando le continue offese ricevute negli stadi del college per il colore della pelle.