Francia e Germania non seguiranno l’Italia: Parigi e Berlino hanno deciso che dagli altri Paesi europei si continuerà ad entrare senza tampone molecolare o antigenico, come invece richiesto dall’Italia per volere del premier Mario Draghi. «Il buon funzionamento del nostro spazio comune ci sta a cuore» ha detto il presidente francese Emmanuel Macron al ritorno dal Consiglio europeo di Bruxelles, criticando la chiusura italiana. «I test hanno un’efficacia ridotta» è il parere all’Eliseo, «a partire dal momento in cui una variante è presente in un paese dell’Unione Europea, essa si diffonderà negli altri paesi». Anche perché l’obbligo di tampone non riguarda comunque i lavoratori transfrontalieri. Per loro vale ancora la deroga all’obbligo di green pass introdotta con l’ordinanza dello scorso 22 ottobre. Così come per chi supera il confine su un mezzo privato ma rimane entro i 60 chilometri da casa. L’intento è di non penalizzare l’area di confine tra Italia, Austria e Slovenia, teatro di spostamenti quotidiani per migliaia di lavoratori.

Anche il nuovo cancelliere tedesco Olaf Scholz ha sposato la posizione francese, con un gran sollievo per la cosiddetta Grande Région, l’area compresa tra Germania e Francia in cui i trasferimenti tra nazioni diverse sono frequentissimi.

La posizione di Draghi però non è isolata. Per le prossime festività, anche Portogallo, Grecia e Irlanda richiedono la presentazione di un tampone per chi, vaccinato o meno, voglia entrare nel Paese. L’obiettivo di Draghi e colleghi è opporsi all’ingresso della variante Omicron, che secondo i dati del 6 dicembre in Italia sarebbe ancora relativamente rara. Solo lo 0,2% dei tamponi analizzati in quella data sono risultati infetti dalla nuove variante, riferisce l’ultima indagine rapida effettuata dall’Istituto Superiore di Sanità. Draghi si è dunque convinto che sia ancora possibile difendere il territorio dalla nuova variante, o almeno rallentarne la diffusione e proteggere le strutture sanitarie da un aumento dei casi positivi troppo repentino.

Secondo un report diffuso ieri dagli epidemiologi dell’Imperial College di Londra guidati da Neil Ferguson, nel Regno Unito il numero di casi associati alla variante Omicron sta raddoppiando ogni due giorni o poco più. La previsione dell’Agenzia per la sicurezza sanitaria del governo britannico è che nel Regno Unito il sorpasso della variante Omicron ai danni della Delta sia avvenuto già in questa settimana. Con questa velocità di diffusione, la variante avrebbe un impatto sugli ospedali anche se si rivelasse meno virulenta. Una minor percentuale di malati sintomatici, se applicata a una platea ampliata dalla trasmissione virale, può dar vita a un numero di pazienti ospedalizzati ben maggiore di una variante magari più virulenta ma meno trasmissibile. Per altro, l’ipotesi che la Omicron provochi un’infezione più leggera è ancora tutta da dimostrare. L’équipe di Ferguson ha esaminato anche la sintomatologia dei casi sospetti di variante Omicron registrati nel Regno Unito a cavallo tra novembre e dicembre, senza trovare evidenze scientifiche di una minore gravità legata al contagio con la nuova variante rispetto ai ceppi già noti. Le prime analisi che prefiguravano una variante più benigna, ipotizzano i ricercatori londinesi, erano influenzate dall’età relativamente bassa dei contagiati.

In compenso, sempre secondo l’Imperial College il richiamo effettuato con il vaccino Pfizer continua a proteggere dalla variante Omicron, sebbene l’efficacia cali dal 96% all’80-85%. Si tratta ancora di dati preliminari, perché il numero di casi su cui sono effettuate queste analisi è piuttosto limitato. La corsa al vaccino intanto però è ripartita.

Durante il Consiglio d’Europa, la presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen aveva annunciato che li Stati membri hanno concordato la prenotazione di 180 milioni di dosi del vaccino Pfizer modificato per rispondere alla variante Omicron. Se non ci saranno intoppi al momento dell’autorizzazione, secondo un portavoce della Commissione le prime consegne potrebbero avvenire nel secondo trimestre del 2022. Da parte sua, l’azienda ha parzialmente smentito queste affermazioni. «Al momento – fa sapere Pfizer – le discussioni con la commissione su possibili nuove forniture nel quadro degli accordi in vigore non riguardano un vaccino adattato. Sebbene un vaccino aggiornato sarà pronto entro il mese di marzo del 2022, non sappiamo ancora se esso sarà necessario e se serviranno nuove autorizzazioni da parte delle agenzie regolatorie».