Gli autori dell’omicidio di Alexander Zacharchenko, presidente della autoproclamata Repubblica popolare del Donbass, sarebbero stati arrestati.

LA CONFERMA viene dal vice-presidente della repubblica Dmitry Trapeznikov che ha assunto già pieni poteri: «Diverse persone sono state arrestate e in seguito all’interrogatorio hanno confermato il coinvolgimento dell’Ucraina nell’assassinio», ha affermato Trapeznikov.

Secondo il comando militare dei «ribelli» «questo atto terroristico ha lo scopo di destabilizzare la situazione nella Repubblica è stato condotto dai servizi speciali ucraini sotto la direzione dei servizi segreti statunitensi».

A DONETSK ORA SI TEME un prossimo massiccio attacco su tutto il fronte di guerra.

Dall’altro ieri è stato ripristinato il coprifuoco a partire dalle 23 su tutto il territorio. Nella capitale si vive una nervosa aria di attesa: la gente disbriga i propri affari perlopiù la mattina e già all’imbrunire nelle strade circolano solo gli autocarri della polizia militare.

Secondo alcune fonti, reparti di miliziani dopo aver appreso la notizia della morte di Zacharchenko avrebbero voluto marciare verso Marjupol’, la città a poche decine di chilometri da Donetsk ancora controllata dall’esercito ucraino, e solo l’autorevolezza dei comandanti ha impedito l’azione.
L’altra sera, per la prima volta da quando è iniziato il conflitto, è arrivato l’aperto endorsment di Putin per la repubblica del Donbass.

«IL VILE ASSASSINIO di Alexander Zakharchenko è un’ulteriore prova che coloro che hanno scelto la via del terrore, la violenza, l’intimidazione, non vogliono cercare una soluzione politica pacifica del conflitto non vogliono condurre un dialogo reale con i popoli del sud-est ucraino. E scommettono pericolosamente sulla destabilizzazione della situazione, per mettere in ginocchio la gente di Donbass. Ma questo non succederà», ha sottolineato Putin un telegramma. Per poi concludere così: «Vorrei esprimere ancora una volta le mie condoglianze alla famiglia e agli amici di Alexander Zacharchenko, a tutti i residenti di Donbass: la Russia sarà sempre con voi».

AL CREMLINO DA TEMPO del resto si inizia ad avere dei dubbi che gli accordi di Minsk verranno mai implementati.
Dubbi emersi pubblicamente un mese fa quando durante i colloqui di Helsinki con Trump, Putin lanciò la proposta di un referendum nella regione per decidere il suo destino. Il presidente russo deve fare anche i conti con i «duri» della propria amministrazione come Igor Secin e Sergey Glazyev che vorrebbero rompere ogni trattativa.

PROPRIO IERI IL PRESIDENTE della Duma Vyaceslav Volodin ha dichiarato ai giornalisti che l’attentato «cancella tutti quei passi che sono stati intrapresi dalla Russia e dalla comunità mondiale per diversi anni per porre fine alla guerra». Una posizione che però metterebbe fine al dialogo con Angela Merkel, il cui governo questa settimana si è detto perfino disponibile a creare quel mezzo di pagamento alternativo al dollaro a cui Russia tiene tanto.

TUTTAVIA I SEGNALI che arrivano dagli Usa, il maggior committente del governo Poroshenko, sono tutto meno che distensivi.

Ieri in un’intervista concessa al Guardian Kurt Volker ha dichiarato che «in questo contesto è naturale per l’Ucraina potenziare il proprio arsenale ed è naturale che cerchi assistenza nei paesi loro alleati», aggiungendo che «dovremo discutere della loro potenza navale… ma anche della loro difesa aerea». Una promessa di nuovi stanziamenti militari al governo di Kiev, oltre a quelli di 250 milioni di dollari già votati dal Congresso lo scorso maggio.