Renzi chiama, Verdini risponde. Crolla così, come un castello fatiscente, la sceneggiata studiata per dimostrare che il gruppo Ala, bandiera dei senatori mercenari radunati dall’astuto Denis, non è parte della maggioranza. A palazzo Madama, tanto per fare una cosa nuova, è di scena l’ennesima fiducia, sulla legge per gli omicidi stradali. Impossibile in questo caso nascondersi dietro le mire ostruzionistiche di chicchessia: gli emendamenti erano solo tre. La spina era rappresentata da una maggioranza pochissimo convinta del provvedimento, che rappresenta una delle peggiori risposte possibili a un’esigenza reale. Di qui il ricorso alla solita fiducia, della quale la ministra Boschi, tra le proteste dell’aula, si dichiara «orgogliosa».

Modificare il ddl con la fiducia di mezzo è impossibile. Tutte le opposizioni decidono quindi di puntare sulla mancanza del numero legale. In realtà anche molti senatori della maggioranza sanno che il testo è pessimo, e la strategia ha qualche possibilità di successo. Infatti dopo la prima chiama la maggioranza è sotto il numero legale. I verdiniani, che in dichiarazione di voto avevano solennemente annunciato la non partecipazione alla votazione, ci ripensano seduta stante e corrono in aula per garantire il tetto minimo necessario di votanti: «Un rovesciamento ai limiti del regolamento e che non sarebbe stato possibile con il voto elettronico. Renzi dovrebbe salire al Quirinale», commenta il capogruppo di Fi Romani. «La conferma che Ala è parte organica di questa maggioranza Renzi-Alfano-Verdini», rincara la capogruppo di Sel De Petris.

In realtà, a conti fatti, la maggioranza avrebbe raggiunto i 145 voti necessari anche senza i verdiniani, con l’apporto dei senatori a vita Napolitano e Rubbia. Ma la cosa non cambia di una virgola la verità messa a nudo dalla sceneggiata di ieri in aula. Verdini guida una truppa di rincalzo pronta a entrare in azione ogni qual volta sia necessario, salvo poi nascondersi dietro l’ipocrita affermazione di non stare nella maggioranza.

Il ddl era già stato approvato dal Senato. E’ dovuto tornare a palazzo Madama perché alla Camera era stato modificato da un emendamento di Fi che cancellava la norma che imponeva l’arresto anche dell’automobilista che, dopo l’investimento, si fermi a prestare soccorso. Una specie di incentivo alla fuga. La legge rimane ispirata solo a princìpi fortemente punitivi, con la triplicazione delle pene e la sospensione per decenni della patente: misure dettate più dall’esigenza di far cassa in termini di propaganda che da quella di rendere le strade più sicure. In effetti, di sicurezza delle strade non si parla proprio, come non è contemplato nessun serio sforzo in termini di prevenzione.

La logica è quella sintetizzata dalla ex grillina Mussini: «C’è chi provoca incidenti perché ha bevuto e chi lo fa perché si è trovato in circostanze sfortunate. Chi ha bevuto molto prenderà da 8 a 12 anni, se ha bevuto meno da 5 a 12, e se non ha bevuto affatto ma provoca per qualsiasi motivo un omicidio sarà trattato come chi ha bevuto poco». Pena altissima se chi provoca l’incidente non ha pagato l’assicurazione. Passare col rosso sarà considerato equivalente al guidare contromano. «E’ stata dura ma finalmente c’è una legge per le vittime e le loro famiglie», esulta Renzi. La legge c’è. Se fosse una buona legge sarebbe anche meglio.