Lui nega risolutamente. «Non sono stato io. Anzi io i neri li faccio pure lavorare». Ma la sua pare una versione disperata. Antonio Pontoriero si è difeso negando ogni addebito davanti agli inquirenti di Vibo che l’hanno torchiato per sette ore. A complicare la sua posizione le conversazioni (intercettate) dei familiari. Che intanto cercavano un «giornalista buono» per placare l’eco mediatica. Pontoriero respinge ogni responsabilità sulla morte di Soumayla Sacko. A suo dire, si sarebbe trovato nella zona dell’ex fornace all’ora dell’omicidio per puro caso.

Il gip Gabriella Lupoli non ha convalidato il fermo. Ma ha contestualmente emesso un’ordinanza di custodia cautelare, per cui l’uomo rimane in carcere. Decisive saranno le risultanze dello stub, gli accertamenti sulla polvere pirica presenti su quei vestiti che lo stesso Pontoriero era intento a metter in lavatrice prima che i carabinieri lo prelevassero nella sua abitazione.

«Il mio assistito sa perfettamente che quell’area è sotto sequestro. Lui e la sua famiglia sono proprietari di alcuni appezzamenti confinanti, per questo si trovava da quelle parti», si affretta a precisare il suo legale. Eppure, il 5 maggio scorso è proprio Pontoriero che i carabinieri, avvertiti da una preoccupata segnalazione, hanno trovato nella zona dell’ex Fornace con l’atteggiamento del «padrone» infastidito. Il quadro probatorio sembra inchiodarlo. Dal riconoscimento dei testimoni, Drame e Fofana, che hanno fornito una precisa descrizione fisica del killer fino ai vestiti che portava e all’auto che guidava.

E poi ci sono le conversazioni dei familiari. «Io non gli canto niente», dice la sorella di Pontoriero, Luciana, dopo la notifica dell’avviso di garanzia al fratello. Mentre lo zio Francesco, già custode e socio della fabbrica dismessa, invece pareva furente: «Adesso mi salgono i cazzi con queste cose. Quando sparano toglilo il colpo, toglilo questo colpo», tuonando contro la distrazione che sembra aver permesso agli investigatori di rinvenire un bossolo in un cespuglio. «Durante la conversazione – scrivono gli inquirenti – emerge la preoccupazione della famiglia in ordine alla rilevanza mediatica che il fatto sta prendendo, tanto da valutare la possibilità di orientare l’informazione mediante un qualche cronista accomodante».

Intanto nel ghetto di San Ferdinando è iniziata la processione dei politici. Lunedì è atteso il presidente della Camera, Roberto Fico. A far da apripista ieri mattina la delegazione del Pd, guidata dal presidente Matteo Orfini, apparso più battagliero del solito in tema di immigrazione: «È una vergogna che Salvini non si sia fatto vedere a Rosarno, preferendo la “più vicina Como”. Non è da ministro degli Interni provocare e instillare solo paure». Ma, a dirla tutta, neanche il ministro precedente, Marco Minniti, in due anni si è mai presentato a San Ferdinando, nonostante le sollecitazioni dei sindacati, degli attivisti, e anche di questo giornale. Ma Orfini si guarda bene dal dirlo.