La Corte di Cassazione ha respinto ieri il ricorso con cui la procura generale di Milano aveva cercato un anno fa di tenere aperto il procedimento sulla tragica fine di Andrea Rocchelli, il fotografo pavese del Collettivo Cesura ucciso il 24 maggio del 2014 dall’esercito ucraino assieme all’attivista russo Andrei Mironov.

PER QUESTE DUE MORTI, nel 2019, il tribunale di Pavia aveva condannato a 24 anni di carcere un uomo della guardia nazionale, Vitaly Markiv, che il Ros di Milano aveva arrestato a Bologna due anni prima. Nel 2020 la Corte di Appello ha rovesciato la sentenza, scagionando Markiv «per non avere commesso il fatto» sulla base di quello che può essere considerato un vizio di procedura: otto dei testimoni sentiti nel corso delle indagini, tutti superiori o commilitoni di Markiv, dovevano essere interrogati come possibili complici del crimine, e quindi con un legale, anziché come testimoni. Nei loro confronti, ha sostenuto la Corte, potevano esistere «fin dall’inizio della deposizione indizi di correità».

In Appello è stato comunque ribadito per intero l’impianto accusatorio del primo grado. Lo stesso vale per le responsabilità dello stato ucraino. Così si è arrivati alla Cassazione, che ha giudicato il ricorso della procura «inammissibile».

IL GIORNO IN CUI hanno perduto la vita, Andrea Rocchelli e Andrey Mironov erano al lavoro nei pressi dalla cittadina di Slovyansk, nella regione del Donbass, a poca distanza dalle postazioni militari che l’esercito ucraino aveva stabilito su una collina chiamata Karachun. Le postazioni in quelle settimane erano usate anche per colpire i civili, come dicono i rapporti presentati allora dell’organizzazione Human Rights Watch.
Sul posto Rocchelli e Mironov erano arrivati a bordo di un taxi. Con loro il fotografo francese William Roguelon, che è riuscito a salvarsi nonostante serie ferite alle gambe.

I TRE, ASSIEME AL LORO AUTISTA e a un altro uomo che è stato identificato anni più tardi, sono stati raggiunti da colpi di mortaio partiti dalla collina. La fuga alla ricerca di un riparo è stata vana. Fino all’ultimo istante Andrea Rocchelli ha fotografato quel che gli accadeva intorno: i suoi scatti sono una drammatica testimonianza del sanguinoso conflitto che ancora oggi si svolge nell’est dell’Ucraina.
Markiv, che possiede anche il passaporto italiano, in tribunale aveva dovuto rispondere del ruolo nell’agguato «in concorso con altri». Ora l’assoluzione è definitiva.

PER GLI AVVOCATI DIFENSORI, Raffaele Della Valle, Donatella Rapetti e Valerio Spigarelli, il processo «non sarebbe mai dovuto iniziare». I genitori di Andrea Rocchelli, Elisa e Rino, parlano dell’attacco con i mortai deliberato e prolungato contro giornalisti inermi come di un crimine di guerra che resta impunito: «Leggeremo le motivazioni della sentenza e continueremo nell’impegno di questi sette anni e mezzo, troveremo nuove energie, la determinazione rimane la stessa», hanno detto dopo la sentenza.

Al loro fianco l’avvocato Alessandra Ballerini, la Federazione nazionale della stampa italiana, che si era costituita parte civile e che ieri ha rinnovato l’appello al governo affinché sia perseguita la verità, e l’associazione Articolo 21.

Se la giustizia italiana non è riuscita a identificare in sette lunghi anni chi abbia materialmente ucciso Andrea Rocchelli e Andrey Mironov, le istituzioni ucraine sono parse impegnate in una imponente operazione di depistaggio cominciata con la mancata risposta alle rogatorie della procura di Pavia nel corso delle indagini, e proseguita con enormi pressioni esercitate sui tribunali e sul governo.

A KIEV IL PROCESSO è stato descritto come un «atto di guerra» contro il paese. Questa versione ha ottenuto ampio sostegno presso una parte significativa della stampa e dell’opinione pubblica. Oggi considerano la sentenza una vittoria per l’intera Ucraina. Markiv è tornato nel suo paese di origine nel 2020, subito dopo l’assoluzione, assieme all’ex ministro dell’Interno Arsen Avakov. Lo hanno accolto come un eroe. Lavora ancora nella Guardia nazionale, con il grado di sergente, nel gruppo di contatto con gli eserciti Nato.