«Ultimamente ho visto segnali di cooperazione molto utili dall’Egitto, spero si sviluppino, e il governo lavorerà in questo senso». Nella conferenza stampa di fine anno, Paolo Gentiloni esplicita ulteriormente le intenzioni che solo una settimana fa erano state fatte trapelare attraverso La Repubblica.

I «nuovi passi avanti» nell’inchiesta egiziana sull’omicidio di Giulio Regeni anticipati dal quotidiano – e smentiti allora come ieri dalla procura di Roma -, che giustificherebbero la volontà di riaprire i canali diplomatici italiani con il Paese di Al-Sisi, per il presidente del consiglio sarebbero invece più evidenti ora, dopo l’intervista all’Huffington post in arabo del capo del sindacato indipendente degli ambulanti egiziani. Mohamed Abdullah infatti ha riaffermato, con maggiore chiarezza ed enfasi di quanto avesse fatto in passato, di aver «denunciato e consegnato al ministero degli Interni» Regeni.

Parole che indicano chiaramente il coinvolgimento dell’intera struttura che fa capo alle forze dell’ordine egiziane, e non solo di alcune “mele marce”, anche se Abdullah, come aveva già fatto in passato, intorbidisce le acque accusando il ricercatore friulano di essere stato una spia e uccisa, proprio perché smascherata, da quelle stesse «persone che lo hanno mandato qua».

Gentiloni invece sembra non cogliere l’accusa diretta e tira dritto sulla linea del ministro degli Eteri Angelino Alfano: «Ciò che è emerso – dice – era stato anticipato dal procuratore generale del Cairo nei suoi precedenti incontri con la procura di Roma, ovvero, la possibile responsabilità del capo del sindacato degli ambulanti egiziani». Dunque, è la conclusione del premier, «la collaborazione tra la procura di Roma e la procura generale del Cairo ha prodotto dei risultati» da premiare e incoraggiare.

Peccato che anche questa volta la procura di Roma sembra poco disposta a coprire depistaggi e trattative politiche. Perciò, appena poche ore dopo il discorso di Gentiloni, fonti di Piazzale Clodio hanno ribadito la mancanza di novità e smentito la ricostruzione del sindacalista degli ambulanti. Che Mohamed Abdallah avesse segnalato Regeni alla polizia egiziana già il 7 gennaio, è noto agli inquirenti italiani fin dal 9 settembre scorso, specificano dalla procura. Come è noto che l’uomo continuò a informare la polizia del Cairo sulle attività del ricercatore almeno fino al 22 gennaio 2016, tre giorni prima che Regeni venisse rapito.

Non solo: ma dall’ultimo vertice tra magistrati avvenuto il 6 e 7 dicembre scorso a Roma, nel faldone del procuratore Pignatone e del pm Colaiocco è entrato il video di un incontro tra Adballah e Regeni presumibilmente girato i primi di gennaio 2016 e forse per mano della stessa polizia cairota. Bene, da questo video, fanno sapere dalla procura romana, si evince chiaramente che Regeni non chiedeva denaro ad Abdallah, come invece sostiene il capo del sindacato. Anzi, al contrario, il ricercatore avrebbe parlato al sindacalista della possibilità di presentare un progetto per un finanziamento di 10 mila sterline a favore delle iniziative degli ambulanti da parte della Fondazione britannica Antipode, malgrado la legge egiziana lo vieti.

Dunque un nuovo depistaggio. A dirlo chiaramente è l’avvocato Abdel Halim Henish, rappresentante legale della famiglia Regeni in Egitto che intervistato dall’Agenzia Nova parla di «ennesimo tentativo di creare un nuovo scenario». L’avvocato ricorda il tentativo di addossare la responsabilità dell’omicidio a una banda di criminali che furono uccisi dalla polizia in un “blitz”, con tanto di immagini dei documenti e degli effetti personali di Regeni messi in bella mostra su un piatto d’argento. Ebbene – a proposito di collaborazione egiziana – come ricordava ieri La Stampa, della ventina di poliziotti legati a quel “blitz” convocati dalla procura del Cairo ai primi di novembre, solo tre se ne sono presentati, gli altri sarebbero stati bloccati proprio dal ministero dell’Interno.

E ora, aggiunge Henish che cura gli interessi della famiglia Regeni insieme all’avvocato Mohamed el Helow, «vi è un’ulteriore riprova del coinvolgimento del ministero dell’Interno e degli apparati di sicurezza nell’uccisione di Regeni». Il legale, che è membro della Commissione egiziana per i diritti e le libertà (Ecrf), una ong che si occupa dei diritti dei detenuti, ha riferito all’Agenzia Nova di essere preoccupato perché «il procuratore generale Nabil Sadek ci ha negato di accedere agli atti dell’inchiesta, anche se abbiamo presentato tutta la regolamentazione necessaria, incluse le deleghe della famiglia Regeni per rappresentarla». L’ultima richiesta è partita il 12 dicembre scorso. Ancora nessuna risposta.