Il Caucaso, la pista cecena, i combattenti islamici; possono cambiare i figuranti, ma quanto appare chiaro è che se l’obiettivo del delitto era quello di mettere in difficoltà il Cremlino, ci si è andati piuttosto vicini. E dato che il rinvio dell’incontro di Vladimir Putin con i presidenti kazakho e bielorusso, Nursultan Nazarbaev e Alekasandr Lukashenko, previsto per oggi ad Astana, non sarebbe dovuto a un malanno del presidente russo, si può supporre che le notizie sul corso delle indagini abbiano consigliato Putin di non allontanarsi da Mosca.

E le notizie sono che l’unico sospettato per il delitto Nemtsov ad essersi sinora dichiarato colpevole, l’ex ufficiale del Ministero degli interni ceceno Zaur Dadaev, ha ritrattato. Secondo il quotidiano Moskovskij komsomolets, Dadaev, riferendosi al suo arresto, avrebbe detto «Mi urlavano “Hai ucciso tu Nemtsov?” e io rispondevo di no. Poi pensai: mi portano a Mosca e là dirò tutta la verità. Che non sono colpevole. Ma il giudice non mi ha nemmeno dato la parola».

E mentre sembra perdere consistenza il movente delle dichiarazioni di Nemtsov successive alla strage di Charlie Hebdo – telecamere avrebbero ripreso due dei presunti assassini appostati nei pressi dell’abitazione di Nemtsov prima dei fatti parigini – gli investigatori intenderebbero interrogare anche i rappresentanti del Comitato per i diritti dell’uomo che hanno visitato Zaur Dadaev e i fratelli Anzor e Shadid Gubashev nel carcere di Lefortovo e che hanno parlato di evidenti segni di bastonature sui loro corpi.

Sembra poi che manchino notizie di Rustam Jusupov (gli altri arrestati sono Hamzat Bakhaev e Tamerlan Eskerkhanov) di cui è ignoto il luogo di detenzione e ci sono dubbi su una presunta lista di «candidati all’obitorio» della cui esistenza gli investigatori avrebbero riferito a Putin, ma che Peskov ha definito assurda. Sempre ieri la Novaja gazeta ha pubblicato un lungo reportage, in cui si adombra l’ipotesi di rese dei conti all’interno del Ministero degli interni ceceno o addirittura di messaggi lanciati a Putin «perchè Kadyrov intenda»: il presidente ceceno, decorato da Putin per «meriti nel lavoro», aveva detto di esser pronto a dare la vita per la Russia e il suo presidente.

Presidente che intanto si trova di fronte a nuove sanzioni decretate dagli Usa ai danni di 14 esponenti dell’economia, della politica, intellettuali, ex ministri ucraini ora rifugiati in Russia, rappresentanti delle Repubbliche di Donetsk e di Lugansk. Il Ministero degli esteri russo ha ieri collegato le nuove sanzioni americane con la decisione di Mosca di uscire dal Gruppo consultivo per l’Accordo sulle armi convenzionali in Europa, annunciata nei giorni scorsi e ieri divenuta effettiva. Mentre il Segretario generale Nato Jens Stoltenberg si è detto «deluso per la decisione di Mosca», questa l’ha motivata con la necessità di procedere alla definizione di un nuovo Accordo (la maggioranza dei paesi europei non lo aveva ratificato), dopo che già nel 2007 aveva interrotto la propria partecipazione e Serghej Lavrov, che nel novembre scorso l’aveva decretato «morto», ha ieri ribadito che «i burocrati europei a Bruxelles inaspriscono deliberatamente il confronto tra Russia e Consiglio d’Europa».

Tale decisione ha come sfondo, tra l’altro, il nuovo sbarco di mezzi corazzati e blindati Usa in Lettonia per le manovre Nato «Atlantic resolve» – sembra che i mezzi statunitensi, a manovre terminate, rimarranno nei paesi baltici e in Polonia, a difesa «dall’aggressione russa» – e l’intercettazione di un aereo cisterna russo Il-78 in volo su rotte internazionali sul Baltico da parte di intercettori Nato di stanza in Lituania. E se nel mar Nero, di fronte alle coste della Crimea, sono iniziate lunedì manovre navali Nato, la Russia ha cominciato proprie manovre di terra in alcune regioni meridionali, mentre il Ministro della difesa Serghej Shojgu è giunto in «visita di lavoro» proprio in Crimea, per ispezionare la «prontezza di reazione» della flotta russa nel mar Nero.