A una settimana dall’omicidio di Boris Nemtsov e nel giorno in cui, secondo la Reuters, i suoi compagni di opposizione esprimevano dubbi sulla volontà del «Cremlino di far luce sui nomi dei mandanti dell’ennesimo omicidio politico dell’era Putin», sono giunti i nomi di due arrestati ritenuti implicati nell’esecuzione del delitto.

A farli è stato ieri il direttore del Fsb (ex Kgb), Aleksandr Bortnikov; si tratta di due caucasici: Anzor Gubashev e Zaur Dadaev.

Stando a Kommersant, agenti speciali avrebbero arrestato i due nella notte tra venerdì e sabato e li avrebbero condotti a Mosca; ciò potrebbe significare che l’arresto sia avvenuto nelle loro zone di origine: a giudicare dai cognomi o Cecenia o Kabardino-Balkaria.

E così, tra le piste indicate, guadagna punti quella islamica e sembra perdere forza quella ucraina, proprio mentre a Mosca cominciavano a circolare battute del tipo della modella ucraina Anna Duritskaja che di notte suona alla porta di Garri Kasparov (l’ex campione di scacchi, ora uno degli «oppositori antisistema» più in vista) e gli propone di andare a fare una passeggiata sul ponte.

Fin da subito, il Comitato investigativo aveva accennato anche a una pista islamica, ricordando come Nemtsov avesse ricevuto minacce per le sue posizioni sulla sparatoria a Charlie Hebdo. In realtà, all’epoca, un altro oppositore, l’ex magnate della «Jukos« Mikhail Khodorkovskij, era entrato in dura polemica con il Presidente ceceno Ramzan Kadyrov: il primo spronava i media russi a pubblicare le caricature di Maometto, il secondo lo accusava di essere nemico dei musulmani e alla Duma si era chiesto di procedere contro Khodorkovskij per «offesa ai sentimenti dei credenti».

Non è escluso che, tra tutti gli esponenti dell’opposizione «filo occidentale», i killer abbiano visto in Nemtsov il bersaglio più indifeso. Ora si attende che i due sicari vengano messi a confronto con la Duritskaja, che era in compagnia di Nemtsov al momento dell’agguato e che, una volta rientrata in patria, ha detto di aver ricevuto varie minacce.

In ogni caso, se perde forza nel caso Nemtsov, non per questo l’Ucraina esce di scena.

Ieri Aleksandr Zakharcenko, mentre ha comunicato che la Repubblica di Donetsk sta continuando a consegnare a Kiev i corpi di soldati ucraini tuttora negli obitori locali, ha detto che proposte relative alle condizioni politiche degli accordi di Minsk sono state indirizzate alla controparte, nonostante Kiev continui a temporeggiare nell’arretramento delle artiglierie pesanti, previsto dalle clausole militari degli accordi stessi.
Donetsk ha in effetti arretrato le proprie artiglierie a oltre 100 km dalla linea di contatto e, in «segno di buona volontà», ieri ha ritirato dal fronte anche diversi mortai pesanti, nonostante ciò non fosse previsto dagli accordi e sia viva la preoccupazione che Kiev punti ancora su una soluzione di forza nel Donbass.

Alla vigilia, al battibecco tra i rappresentanti russo e statunitense all’Onu, Vitalij Churkin e Samantha Power, circa la presunta «aggressione di Mosca all’Ucraina», si era aggiunta – potenza delle parole – l’asserzione del Segretario generale della Nato Jens Stoltenberg secondo cui «la dichiarazione di Putin» circa la presenza Nato in Ucraina «è completamente falsa».

E se non accenna a dare migliori risultati il piano ucraino di mobilitazione – da mesi, raramente si va oltre il reclutamento del 20% dei richiamati – un ulteriore segnale possibilista è venuto dall’opposizione ucraina.

Come in precedenza le Repubbliche di Lugansk e di Donetsk avevano ammesso la possibilità, a determinate condizioni di autonomia, di rimanere a far parte dell’Ucraina, nei giorni scorsi il Segretario del Pc Pëtr Simonenko ha dichiarato che «la decentralizzazione è l’ultima chance di conservare l’integrità dell’Ucraina».

A fronte di tali positivi segnali e della tregua che per ora pare resistere nel Donbass, non incoraggiano né lo strepitare dei congressisti americani per l’invio di armi a Kiev, né le performances di fronte al Senato Usa di Mikhail Saakashvili e Garri Kasparov.

Il primo – ex presidente georgiano e attuale consigliere di Poroshenko – esalta i militari georgiani che combattono per Kiev nel Donbass, invita Washington a ignorare le preoccupazioni europee e insiste sull’invio di armi.

Anche il secondo chiede armi per Kiev, mentre esorta a eliminare Putin come «un tumore maligno». I venti di guerra non si sono certo placati.